Sono state riaperte tre spiagge nelle regioni colpite dal sisma di magnitudo 9.1 dell’ 11 marzo 2011 al largo dell’Oceano Pacifico, che provocò uno tsunami e la conseguente esplosione dei reattori della centrale di Fukushima, causando la seconda peggior catastrofe nucleare dopo quella di Chernobyl, in Ucraina, avvenuta nel 1986.
Una decisione presa dopo le analisi delle acque durate anni, che hanno rilevato la totale assenza di materiali radioattivi. Un’importante occasione per il Paese, secondo il segretario generale Hirohyuki Ito:
“finalmente la vita quotidiana della gente sta tornando alla normalità; può ripartire il turismo nella regione di Haragamaomba, conosciuta esclusivamente per una rinomata meta turistica, ma che negli ultimi 7 anni ha stravolto totalmente l’opinione pubblica, facendo legare inestricabilmente la regione con le radiazioni dell’esplosione di Fukushima; basta fare una semplice ricerca su Google immagini per vedere quali sono i primi risultati, spero che la gente di Paesi esteri abbandoni questo luogo comune. Non solo turisti però, ma anche le decine di migliaia di ex residenti del posto, che per forza di cose sono state costrette ad evacuare ed abbandonare la propria abitazione e che tuttora vive in altre zone del Giappone, che fino adesso è sempre stata riluttante a tornare qui”.
Da sottolineare il grande lavoro messo in atto dal Giappone per arrivare ad oggi: è stata ripristinata la sabbia che è stata spazzata via dallo tsunami; sono state ricostruite le infrastrutture turistiche; ma sono state anche create enormi dighe lungo la costa settentrionale dell’Oceano Pacifico per evitare un’eventuale futura disgrazia legata allo tsunami, in un territorio tragicamente noto per le numerose attività sismiche.
Per dovere di cronaca, secondo le statistiche, il disastro ha fatto contare migliaia di morti, ma nessuna di queste si può associare alle radiazioni nucleari.
Gianluca Simone