È possibile essere felici ogni singolo giorno della propria vita? Secondo Gianluca Gotto, scrittore e blogger di viaggio, sì. Come ha raccontato a Rovigo lo scorso 7 ottobre durante una conferenza TEDx, servono buona volontà, un pizzico di socievolezza e tanto coraggio.
Parlare di felicità, oggi, è tutt’altro che facile. Di fronte a Gianluca Gotto, infatti, il nostro cinismo innesca il sospetto che si tratti dell’ennesimo imbonitore di qualche filosofia new age. Dall’ascoltarlo attentamente mentre espone la sua idea di come rendersi felici, però, scaturisce un’impressione diversa. Capelli e barba lunghi, abiti semplici, sorriso aperto, con il suo discorso questo ragazzo non prova a vendere qualcosa. Pone invece domande così radicali da sembrare assurde:
Perché dovremmo vivere una vita che ci rende sistematicamente infelici?
Siamo proprio sicuri che non esistano altre vite possibili per noi?
Queste domande, in un’epoca di sconforto imperante, ci sono infinitamente preziose. Perché dovremmo prendere sul serio la prospettiva di Gianluca? Perché tutto nel suo sguardo, nel suo aspetto, nel suo modo di porsi rivela che questo individuo appartiene a una specie rara. Gianluca Gotto è una persona felice.
Ma come si raggiunge questa felicità?
Anzitutto, dice Gianluca Gotto, smettendo di pensare che esista un unico modo “giusto” di vivere.
Purtroppo, nella nostra società tanto in famiglia quanto negli altri contesti formativi vige l’idea che esista un solo percorso esistenziale possibile. L’istruzione dovrebbe portare al lavoro, il lavoro alla possibilità di possedere beni, darsi una stabilità, formare una famiglia. La felicità dovrebbe essere proporzionale alla capacità di aderire a questo paradigma, nel quale il valore consiste in ciò che si riesce a conquistarsi. È questo il modo di vivere. Che altro potremmo volere? Il desiderio di esplorare altre possibilità viene liquidato come una fantasticheria infantile, oppure come l’alibi di un lavativo. Così, spesso ci ritroviamo ad accettare per imposizione uno stile di vita che ha poco a che fare con ciò che ci realizzerebbe davvero. Cadiamo facilmente preda dello sconforto e, inevitabilmente, iniziamo a deperire come esseri umani. Come uscire da questo pantano?
Per prima cosa, bisogna trovare il proprio ikigai.
Che cos’è? Questo termine, mutuato dalla cultura giapponese, si può tradurre con “ragione di vita”. È il modo di stare al mondo aderendo al quale possiamo sentirci realizzati. Per dirlo con le bellissime parole di Herman Hesse:
Bisogna trovare il proprio sogno perché la strada diventi facile.
Precisando, però, che l’ikigai è un sogno che possiamo scegliere per capriccio. Esso va coltivato, anzitutto imparando a conoscere profondamente noi stessi. Tutti i nostri talenti, tutti i nostri limiti. Questa misura del nostro essere umani, spiega Gianluca Gotto, si colloca all’incrocio di quattro tipi di attività. Ciò che amiamo fare, ciò che sappiamo fare, ciò che ci rende utili agli altri e ciò che ci permette di sostentarci. Per lui, prosegue, l’ikigai è la scrittura connessa alla vita da nomade digitale. Una passione divenuta un lavoro che gli permette di condividere la bellezza di quanto apprende viaggiando. E di restituire speranza.
In secondo luogo, è fondamentale diventare viaggiatori.
Del resto, già secondo il filosofo Seneca:
Bisogna vivere pensando: «Non sono nato per un solo angolino: la mia patria è il mondo intero».
Gianluca Gotto concorda, convinto dei benefici del confronto con altre culture e visioni del mondo. Tuttavia, nella sua prospettiva il viaggio è una faccenda più di relazione che di traslazione. Non si tratta, cioè, (sol)tanto di spostarsi, ma di aprirsi a ciò che è sconosciuto o diverso da come ce lo aspettavamo. Viaggiare, infatti, è immergersi nella mente degli altri, nei loro saperi, nei loro sogni. È assumersi il rischio di cambiare qualcosa nella propria mentalità, evitando di rimanere sempre identici, mentalmente immobili. Questo genere di viaggio può essere compiuto anche nella propria città. Non solo andando alla ricerca di angoli sconosciuti. Ma anche aprendosi a una nuova conoscenza, esponendosi ai rischi. O, magari, provando a curare una relazione deteriorata mettendosi nei panni dell’altro.
Infine, bisogna diventare artigiani del proprio tempo. Cioè superare il rapporto disfunzionale che si tende ad avere con esso.
Infatti, nella nostra società si rimpiange molto il passato e si attende il futuro con un misto di brama e paura. Quanto al presente, esso è visto perlopiù come un intervallo transitorio in attesa della felicità. Più che viverlo, tendiamo a consumarlo. Non vediamo l’ora che sia il momento di uscire dall’ufficio, o di andare in ferie, o in pensione, mentre trascorriamo giornate tutte uguali. Risulta ben difficile, a queste condizioni, il poter vivere bene. Secondo Gianluca Gotto, la felicità diventa possibile solo se si attua una rivoluzione nel rapporto con il proprio tempo, rendendosi “artigiani” di esso. Cioè plasmandolo, giorno per giorno, secondo i propri desideri e progetti. Preoccupandosi più di accumulare ricordi ed esperienze significative che beni materiali.
L’intervento alla conferenza TEDx si concludeva con la foto di un quaderno poggiato su un tavolino in riva al mare.
Sulla copertina si leggeva:
Abbiate vite meravigliose!
Questo augurio, con il quale Gianluca Gotto si congedava dal pubblico, ci richiama alla responsabilità verso noi stessi. A essere felici si impara: come insegnava il filosofo Epicuro, è un compito che dura una vita intera. Ed è una sfida nella quale non possiamo né dovremmo darci per vinti. Mai.
Valeria Meazza