Giancarlo Siani, vittima della camorra

Giancarlo Siani, vittima della camorra www.ultimavoce.it

Giancarlo Siani era un giovane giornalista napoletano ucciso a Napoli, la sera del 23 settembre 1985, sotto casa, nel quartiere residenziale del Vomero. Ottimo studente, negli anni del liceo iniziò ad approcciarsi alla politica avvicinandosi ad un gruppo di ragazzi facenti parte di un gruppo della sinistra extra parlamentare, conosciuto come “i ragazzi del 77” dal quale si distaccò per un passaggio attraverso i movimenti non violenti.

Finita la scuola, iniziò a collaborare con alcuni periodici napoletani, mostrando sempre spiccato interesse per le problematiche sociali del disagio e dell’emarginazione, individuando in quella fascia il principale serbatoio della manovalanza della criminalità organizzata, “la camorra”.

Iniziò ad analizzare prima il fenomeno sociale della criminalità per interessarsi dell’evoluzione delinquenziale delle diverse “famiglie camorristiche”, calandosi nello specifico dei singoli individui. Fu questo periodo che contrassegnò il suo passaggio dapprima al periodico “osservatorio sulla camorra” al quotidiano “Il Mattino”, come corrispondente da Torre Annunziata presso la sede distaccata di Castellammare di Stabia.




Fin da subito, Giancarlo Siani fu apprezzato dal resto della redazione per le sua sincerità e il suo profondo spirito giornalistico, che ben presto lo porterà alla morte.
In questo periodo, Siani scese molto in profondità nella realtà torrese senza tralasciare alcun aspetto, compreso e forse soprattutto quello criminale, che anzi approfondì con inchieste sul contrabbando di sigarette e sull’espansione dell’impero economico del boss locale, Valentino Gionta.

Un’esperienza che lo fece diventare fulcro dei primi e temerari movimenti del fronte anticamorra che sorgevano. Promotore di iniziative, firmatario di manifesti d’ impegno civile e democratico, Siani era divenuto una realtà a Torre Annunziata: scomodo per chi navigava nelle acque torbide del crimine organizzato, d’incoraggiamento per chi aveva una coscienza civile, ma non aveva il coraggio per urlare. Lui, invece, urlava con i suoi articoli, urlava con umiltà, ma paradossalmente riusciva ad insinuarsi. Aveva capito che la camorra s’era infiltrata nella vita politica, della quale riusciva a regolare ritmi decisionali ed elezioni.

La decisione di ammazzarlo fu presa all’indomani della pubblicazione di un suo articolo, su “Il Mattino” del 10 giugno 1985 relativo alle modalità con le quali i carabinieri erano riusciti ad arrestare Valentino Gionta, boss di Torre Annunziata.

In particolare Siani venne a conoscenza del tradimento operato da un altro boss, Lorenzo Nuvoletta, il quale, per non uccidere l’alleato, lo fece arrestare facendo una soffiata ai carabinieri.
La notizia fece scalpore in tutto il territorio e per non perdere la faccia con i suoi alleati di Torre Annunziata, Lorenzo Nuvoletta, con il beneplacito di Riina, decretò la morte di Siani.

L’organizzazione del delitto richiese circa tre mesi, durante i quali Siani continuò con sempre maggior vigore la propria attività giornalistica di denuncia delle malefatte dei camorristi e dei politici loro alleati, proprio nel momento in cui piovevano in Campania i miliardi per la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto del 1980.
E’ la notte del 23 settembre 1985 e in via Chiatamone sono passate da pochi minuti le 22.00. Il picchiettio sulle macchine da scrivere è terminato, ma serve una piccola notizia per completare la pagina. Il redattore alza la cornetta e chiama il 113 con un rituale che è diventato parte del lavoro di chi fa la cronaca nera del primo giornale di Napoli. La domanda è la solita: “C’è qualcosa per noi”. Un sequestro di sigarette, magari di droga, ma anche una rissa tra balordi va bene, servono solo poche righe per riempire un piccolo buco tra le colonne; il grosso è stato già fatto. Dall’altra parte, il poliziotto risponde imprevedibilmente con un’altra domanda: “Dottò conoscete Siani? E’ stato ammazzato nella sua auto a piazza Leonardo al Vomero”. Così arrivò in redazione la notizia dell’uccisione di Giancarlo Siani, 26 anni compiuti quattro giorni prima del delitto. L’ansia di raggiungere il luogo del delitto, non tanto per dovere di cronaca, ma per accertare che si trattasse di un equivoco, avvolse tutti i colleghi della cronaca nera. Dopo venti minuti il crollo di ogni illusione; tra le macchine della polizia e dei carabinieri a piazza Leonardo c’era una Citroen Mehari verde: il capo riverso sul volante, la guancia sinistra segnata da un rivolo di sangue. Giancarlo Siani era stato assassinato.

Giancarlo Siani era corrispondente da Torre Annunziata per “Il Mattino” e ogni giorno, da cinque anni, con l’impegno e la passione che distingue tutti i giovani che credono in ciò che fanno, si recava a Torre. In questa realtà Siani cercava le notizie, incontrandosi con le facce, le voci, i suoni che da sempre popolano i grandi centri urbani della provincia di Napoli.

Forse il suo lavoro gli piaceva proprio per questo, perché la notizia la viveva prima lui e poi tutti gli altri la mattina successiva sulle colonne del giornale. Scriveva di persone che incontrava per strada, le guardava negli occhi e con i loro occhi acquisiva coscienza degl’interessi concreti intorno a cui gravitano le attività della malavita. Quando lo uccisero venne dimenticato per anni e qualcuno cominciò a dire che l’avevano ammazzato per una questione di donne, di uomini, di beghe personali. Si è inquinato tutto. Non si è voluto vedere che invece era un giornalista serio e pulito, che scriveva cose giuste e aveva avuto l’onestà e il coraggio di scrivere anche i nomi di chi stava sfruttando i ragazzini.

Oggi, grazie all’opera della famiglia la sua figura viene ricordata al pari di un altro giovane dimenticato, Peppino Impastato, con il quale ha condiviso la voglia di libertà e la speranza di sconfiggere quella brutta malattia chiamata mafia.

Francesco Merendino

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