60 anni fa nasceva un giornalista di nome Giancarlo. Sì, perché quel ragazzo napoletano, nato il 19 settembre 1959, giornalista non lo è diventato. Uno che ogni mattina si sbatteva per correre dietro alle notizie, “quelle che fanno male assaje” (Fortapasc, ndr), senza pretendere una ricompensa diversa da quelle poche lire che riceveva in cambio e che per fare bene questo mestiere si è fatto ammazzare, non può esserlo diventato, un giornalista. Uno così è nato giornalista. Ebbene, quel ragazzo – perdonateci – quel giornalista oggi avrebbe compiuto 60 anni, se solo quella sera del 23 settembre 1985 non fosse stato assassinato dai sicari della camorra, proprio davanti alla sua abitazione.
La lettera del fratello Paolo
Da anni il fratello Paolo- medico e deputato del Partito Democratico – non perde occasione per ricordarlo. “Sessant’anni sono una tappa importante per la vita di una persona – comincia così la lettera pubblicata questa mattina sul sito de La Repubblica – A 60 anni ci si avvicina alla terza età, il fisico mostra gli inevitabili segni del tempo, si comincia a intravedere il traguardo della propria attività lavorativa. Insomma, è una tappa veramente fondamentale nella vita di un uomo.
Giancarlo invece resta giovane, sorridente, allegro, resta per sempre un precario dell’informazione, un abusivo. Sì, Giancarlo resta fermo ai suoi 26 anni, mentre io, che ero solo di 4 anni più grande, invecchio e adesso ne ho ben 34 in più.
Giancarlo mi manca, ci manca da ben 34 anni. A me manca un fratello con cui con cui confrontarsi, con cui condividere scelte, ma anche con cui gioire delle vittorie del Napoli. Alla città manca un cittadino onesto e alla stampa manca un giornalista-giornalista”.
Questo fa la camorra
“La camorra impoverisce la società, porta via affetti, competenze, sottrae capitale umano. Distrugge la vita. Se pensate che le vittime della camorra sono 500, allora capirete che danno enorme e quanta sofferenza la camorra abbia creato nella nostra regione. Un danno insopportabile a cui bisogna porre rimedio”, scrive Paolo Siani, pensando agli assassini di suo fratello. I killer che quella sera scapparono in moto, Ciro Cappuccio e Armando Del Core, sono stati condannati all’ergastolo nel 1997 assieme ai loro mandanti, Luigi Baccante e i fratelli Lorenzo e Angelo Nuvoletta. Discorso a parte, invece, si fa per Valentino Gionta. Figura come mandante assieme agli altri tre, ma il suo giudizio viene rimandato al 2003, quando è condannato all’ergastolo, dopodiché viene scagionato dalla Cassazione per non aver commesso il fatto. Dal 2007 è sottoposto al 41 bis poiché coinvolto nella nuova faida di Torre Annunziata.
Unica arma il ricordo
“Ma con orgoglio devo constatare che il ricordo di Giancarlo è ben vivo nei ragazzi di Napoli e in tante altre città d’Italia – prosegue Paolo -Era il mio più grande desiderio, riuscire a farlo ricordare, era l’unica arma che avevo per ribellarmi a quella violenza così brutale. Era la mia risposta civile alla camorra.
Sarà il trentaquattresimo anno che non potrò festeggiare il compleanno di Giancarlo, ma anche qui mi aiutano i giovani studenti anti camorra di Napoli, che anche quest’anno festeggiano, con torta e champagne, i suoi 60 anni, nei pressi della sede de “Il Mattino”. Quest’anno, inoltre, diamo vita alla ” Fondazione Giancarlo Siani“, assieme alla mia famiglia”.
Mi manchi, Giancarlo
Il finale della lettera racchiude tutto il lato più intimo della vicenda. Il dolore implacabile di un uomo davanti ad una scomparsa prematura di un fratello, per cause che non dovrebbero esistere in un Paese civile: “Nemmeno il tempo trascorso senza di lui è riuscito a rendere più lieve un dolore così grande. È un dolore che non si attenua mai, nonostante il cervello provi a rendere meno traumatica una mancanza così grave. Ma in casi come questo, anche il cervello si adatta al dolore e lo tiene lì. Ogni tanto, però, quel dolore emerge. E fa male – poi prosegue – Come scrive Chiara, ‘Giancarlo continuiamo a ricordarlo come una persona fuori dal comune ed è per questo che abbiamo il desiderio di ricordarlo per sempre’. Auguri Giancà. ovunque tu sia. Paolo”.
Pietro Colacicco