Giancarlo Galan ammette di aver mentito per coprire Silvio Berlusconi nel “caso Ruby”, una delle vicende giudiziarie più controverse degli ultimi anni.
Le dichiarazioni di Giancarlo Galan: “Certo, ho fatto falsa testimonianza”
Durante un’intervista con Luca Bertazzoni, giornalista di Report, il tema principale doveva essere il coinvolgimento di Galan nell’inchiesta Mose – un caso di corruzione legato alla realizzazione del sistema di paratie mobili a Venezia – per il quale Galan ha patteggiato una pena di due anni e dieci mesi. Tuttavia, durante la conversazione, Galan ha menzionato spontaneamente il periodo delle indagini sul caso Ruby. Senza una specifica domanda del giornalista, ha dichiarato: “Era anche il periodo in cui Berlusconi aveva il problema di Ruby…”. Bertazzoni ha allora chiesto se l’ex presidente del Veneto avesse aiutato Berlusconi, e Galan ha risposto senza esitazioni: “Certo, ho fatto falsa testimonianza”.
La motivazione della menzogna è, secondo Galan, riconducibile al legame di profonda gratitudine che sentiva verso Berlusconi, definito “l’uomo a cui dovevo tutto nella vita”. Queste dichiarazioni non rappresentano un’assoluta novità: già nell’aprile del 2023, in un’intervista al Corriere della Sera, Galan aveva accennato a una testimonianza resa in Tribunale, in cui sostenne falsamente di aver partecipato a una conversazione tra Berlusconi e l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak riguardante proprio Ruby. Oggi Galan ammette che quelle parole erano frutto di un’invenzione, volta a costruire una copertura attorno a Berlusconi, contro il quale si stavano addensando accuse pesantissime.
Il contesto del caso Ruby: una vicenda che sconvolse la politica italiana
Il caso Ruby esplose nella primavera del 2010, quando Karima El Mahroug, alias Ruby, venne fermata dalla polizia con l’accusa di furto. All’epoca diciassettenne, Ruby non era in possesso di documenti e fu portata in questura a Milano. L’intervento di Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio, accese i riflettori su questo episodio apparentemente di poco rilievo: Berlusconi telefonò alla questura per chiedere che Ruby venisse rilasciata e affidata alla sua consigliera regionale, Nicole Minetti, invece che a un centro per minori. Per giustificare la sua richiesta, il premier sostenne che la ragazza fosse la nipote del presidente egiziano Hosni Mubarak e che un eventuale trattenimento della giovane avrebbe potuto innescare una crisi diplomatica.
La versione di Galan e le pressioni politiche del tempo
Secondo la ricostruzione di Galan, molti membri dell’entourage di Berlusconi, compreso lui stesso, accettarono di testimoniare il falso per avvalorare questa tesi. Alcuni parlamentari e ministri sostennero addirittura pubblicamente la versione del premier, dichiarando di essere convinti che Karima El Mahroug fosse effettivamente imparentata con Mubarak. Galan, nello specifico, riferì di aver udito Berlusconi e Mubarak parlare di Ruby durante una cena ufficiale; una testimonianza che oggi ammette essere inventata, resa per aiutare il leader a fronteggiare le gravi accuse.
In realtà, l’indagine si rivelò ben più complessa di quanto potesse apparire in superficie: la procura di Milano avviò un’inchiesta su Berlusconi per abuso di potere e prostituzione minorile, scoprendo che la giovane Ruby aveva preso parte a una serie di eventi privati nella residenza di Arcore. A queste feste partecipavano altre ragazze, e l’accusa sosteneva che alcune di loro avessero rapporti sessuali con Berlusconi in cambio di denaro e favori.
Il processo e l’assoluzione di Berlusconi
Il 15 febbraio 2011 Berlusconi venne rinviato a giudizio con l’accusa di concussione e prostituzione minorile. Dopo due anni di procedimenti legali, il 24 giugno 2013 il Tribunale di Milano emise una sentenza di condanna in primo grado a sette anni di reclusione. Tuttavia, il processo di appello nel 2014 ribaltò questa decisione, stabilendo che non vi era stata concussione e che il reato di prostituzione minorile non poteva essere configurato. La Corte di cassazione, nel marzo 2015, confermò l’assoluzione definitiva per Berlusconi, chiudendo il caso dal punto di vista giudiziario.
Le implicazioni delle nuove rivelazioni di Galan
Le ammissioni di Giancarlo Galan gettano nuova luce su una vicenda che continua a far discutere, sollevando dubbi sulle pressioni politiche e le strategie difensive impiegate per proteggere Berlusconi e il suo entourage. In particolare, le parole di Galan evidenziano come la gratitudine e la lealtà politica possano aver spinto persone di rilievo a deporre il falso per supportare la versione difensiva del leader. Galan, che ora vive ritirato sui colli Berici nel vicentino, ha scelto di ammettere queste responsabilità a distanza di anni, forse anche perché non più coinvolto attivamente nella politica e quindi in una posizione più libera di esprimersi.
Questa confessione potrebbe, inoltre, riaccendere il dibattito pubblico sulla questione etica legata alle testimonianze politiche e alle pressioni che i potenti possono esercitare per influenzare il corso della giustizia. L’intervista ha portato a galla non solo l’ombra della corruzione in ambito politico-giudiziario, ma anche il peso delle relazioni di potere e delle reti di protezione che spesso circondano i leader politici.
La vicenda, inoltre, riporta in primo piano il tema delle responsabilità collettive, poiché il caso Ruby non riguarda solo il comportamento di Berlusconi ma anche le complicità e i meccanismi di copertura messi in atto per sostenerlo. La confessione di Galan rappresenta quindi un segnale forte di quanto possa essere pervasivo il legame di fedeltà politica, in grado di spingere anche figure influenti a compromettere la propria integrità per proteggere chi occupa una posizione di vertice.