Giacinto Facchetti, l’importanza di essere un uomo

Il 4 settembre del 2006, il calcio italiano ha perso uno dei suoi simboli, uno di quei calciatori immortali che hanno attraversato il tempo e sono diventati immortali: ha perso Giacinto Facchetti.

In questo articolo non voglio parlare solo del Facchetti calciatore, ma anche dell’uomo che è stato, capitano dentro e fuori dal campo, sempre disposto a dare una mano, sempre disposto a spendersi in favore dei compagni.

In uno degli episodi di “Storie Mondiali”, quello riguardante Messico ’70, Federico Buffa, con la sua solita maestria, inquadra perfettamente chi era Giacinto Facchetti: Giovanni Lodetti, fantastico giocatore del Milan, viene rispedito, nello stupore generale, in Italia per far posto al compagno di club Prati. Mentre preparava le valige, nello sconforto di aver perso un mondiale, l’unica persona che lo consolò fu proprio Facchetti.




Giacinto era questo, capiva i compagni, sapeva quando doveva alzare la voce in spogliatoio e quando doveva dare un segnale in campo. A tal proposito è leggendaria la sua cavalcata nella semifinale di ritorno contro il Liverpool nel ’64, quando segnò il goal decisivo per portare l’Inter in finale.

Fuori dal campo Giacinto Facchetti è stato un uomo semplice, legato ai valori tradizionali, a Giovanna, l’unica donna della sua vita, ai suoi quattro figli e alle sorelle, alle quali badò sin dall’età di 17 anni visto che suo padre morì in giovane età.

Oltre l’uomo, però, Facchetti è stato anche un calciatore che ha rivoluzionato il mondo del calcio, in particolare la concezione del ruolo di terzino. Aiutato da mezzi atletici spaventosi, Facchetti diventò fin da giovanissimo un pilastro portante dell’Inter, unica club della sua vita, e della Nazionale Italiana.

Come lui stesso ha dichiarato, la persona più importante della sua vita è stata “Il Mago” Helenio Herrera. Arrivato a Milano nel 1960, Herrera pose Facchetti al centro del suo progetto tecnico, sviluppando con lui un intenso rapporto di stima dentro e soprattutto fuori dal campo; non ha caso Facchetti ha ereditato alcuni del leggendari taccuini del “Mago”.




Ancora prima di Beckenbauer, Facchetti ha portato il ruolo di difensore ad un livello superiore, essendo stato il primo a coniugare perfettamente fase difensiva e fase offensiva viste le oltre 70 reti segnate in carriera.

La sua prestanza fisica, la sua eccezionale visione difensiva lo fecero diventare l’incubo degli attaccanti per oltre 15 anni, in cui vinse praticamente tutto con l’Inter e con la Nazionale, arrendendosi solamente all’invincibile Brasile di Pelè.

Dopo il ritiro, Giacinto Facchetti continuò ad essere una figura fondamentale per il mondo nero azzurro, visto che durante i suoi anni da dirigente ha saputo inculcare i valori della fedeltà alla maglia a molti campioni, tra i quali figura il suo unico erede, l’altro grande capitano, Javier Zanetti.




Fin dal suo arrivo in Italia, Facchetti lo ha preso sotto la sua ala protettrice, consigliandolo e trattandolo come un figlio, ed insegnandoli che nei momenti più difficili un capitano deve prendersi la squadra sulle spalle e condurla alla vittoria.

E proprio come fa un figlio, Zanetti è stato vicino a Facchetti duranti quei tristi giorni di Settembre, quando il cancro stava consumando tutto ciò che restava di quel fantastico calciatore, di quel fantastico capitano, di quel fantastico uomo.

Oggi, ad 11 anni dalla morte, il mondo interista piange ancora la sua perdita e prega che lo spirito di Facchetti possa tornare nuovamente per riportare la squadra in alto, ancora una volta.

Riposa in pace Giacinto.

 

Francesco Merendino

 

 

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