Il parlamento unicamerale del Ghana ha votato a favore dell’abolizione della pena di morte per i reati comuni. È un passo avanti dalla portata epocale per il Paese africano, purtroppo famoso per gli atti di crudeltà che hanno segnato la sua tormentata storia.
Un passo avanti per il Ghana, questo martedì il parlamento unicamerale ghanese si è espresso a favore dell’abolizione della pena di morte per i reati comuni. La norma è stata quindi rimossa dal Criminal and Other Offences Act del 1960 e dall’Armed Forces Act del 1962. La legge rimane invece in vigore per i reati di alto tradimento, ossia per i crimini contro lo stato, come previsto dalla costituzione del Paese. Cambiamento che include crimini gravi come l’omicidio per cui la pena di morte sarà sostituita con il carcere a vita. La divisione verrà applicata tra reati comuni (o impropri), quei crimini che può commettere qualsiasi cittadino e reati propri, ossia quelli commessi da chi ha una qualifica specifica: per esempio i militari.
Nonostante ciò, la legge entrerà effettivamente in vigore quando il presidente Nana Akufo-Addo la firmerà. Negli ultimi anni c’è stata una spinta al cambiamento che ha coinvolto vaste aree del continente. Difatti, sono stati diversi i Paesi africani che hanno deciso di abolire la pena di morte. Secondo l’ong The Death Penalty Project sarebbero ben 29 gli Stati che hanno recentemente eliminato la misura. Tra cui figurano Burkina Faso, Benin, Repubblica Centrafricana, Ciad, Guinea Equatoriale, Zambia e Sierra Leone.
Tuttavia, la pena capitale rimane in vigore in svariati altri luoghi dell’Africa come: Algeria, Repubblica del Congo, Kenya, Marocco, Uganda, Zimbabwe, Somalia e molti altri. D’altronde, molte condanne a morte sono ancora eseguite in Egitto. Un Paese con cui l’Europa ha un rapporto politico e commerciale complicato, dove negli ultimissimi anni è stato registrato un record di esecuzioni. I diritti civili e la libertà d’espressione sono in costante rischio nello Stato nordafricano, difatti tra i condannati egiziani alla pena capitale figurano anche giornalisti e attivisti.
La riforma contribuisce a nutrire il lungo percorso verso una realtà politica più moderna del Ghana
Per il Ghana è un cambiamento significativo, in quanto la pena di morte, prevista per omicidio, rapina a mano armata e alto tradimento, è parte della sua Costituzione dall’introduzione della common law inglese dal lontano 1874. Sono 176 le persone detenute in Ghana e condannate a morte la cui pena sarà sostituita con l’ergastolo. Sebbene, lo Stato africano abbia implicitamente applicato questo principio in precedenza, in quanto non vengono eseguite le condanne a morte dal 1993, la riforma rappresenta un punto di svolta importante.
La notizia è stata accolta con grande interesse a livello internazionale, sia dai capi di governo che dalle associazioni umanitarie. Samira Daoud, che segue con attenzione la situazione nell’Africa centrale e occidentale per conto di Amnesty International, ha affermato che l’attuazione di questa riforma è un passaggio fondamentale per la totale abolizione della pena di morte nel Paese ribadendo che:
“Anche se è una decisione storica, l’abolizione totale non sarà completa finché non verrà modificata la costituzione, che prevede ancora la pena di morte per alto tradimento”
Ad oggi, sono 124 i Paesi che non prevedono più la pena pena di morte nei loro ordinamenti. Un numero destinato a salire che rappresenta già i 2/3 delle Nazioni esistenti. Non si tratta del primo tentativo del Ghana di rimuovere la pena capitale. Un primo sforzo abolizionista risale all’anno 2014, quando il governo ghanese accolse un disegno di legge in questa direzione. Il progetto avrebbe dovuto essere sottoposto a referendum per ratificare un eventuale modifica dell’articolo 13 della Costituzione. Inutile dire che questo non avvenne.
Un primo passo per l’abolizione della pena di morte per tutti i reati
Potremmo essere di fronte ad un radicale cambio di prospettiva per il Ghana, il presidente Nana Akufo-Addo ha le idee chiare. Il 5 novembre scorso, durante un incontro con la delegazione di Amnesty International, ha dichiarato che l’abolizione della pena dall’ordinamento è il logico proseguimento della scelta di non eseguire le condanne a morte, aggiungendo che “si sarebbe dovuta fare già da tempo”. Dichiarazioni premonitrici di ciò che sarebbe successo nel 2023. Inoltre il deputato Francis-Xavier Sosu, colui che ha il merito di aver presentato il disegno di legge in parlamento (con il sostegno dell’organizzazione britannica Death Penalty Project), ha commentato:
“L’abolizione della pena di morte dimostra che siamo determinati come società a non essere disumani, incivili, chiusi, regressivi e oscuri”
Un risultato ottenuto anche grazie al duro lavoro di tante organizzazioni internazionali come le sopracitate Amnesty International e Death Penalty Project. Realtà che da anni mediano con i governi per ottenere riforme fondamentali come questa.
Spesso le vicende legate a questa norma appaiono lontane dall’Occidente scandalizzando noi europei. Eppure, essa non riguarda solo il cosiddetto “Terzo mondo”, quella parte del globo che è così lontana diritti umani. Spesso, per quanto ignorata, la legge è parte dell’ordinamento di Stati a trazione occidentale come il Giappone o addirittura di quello della forza economia primaria dei “Paesi sviluppati”, gli Stati Uniti d’America.
Addurre scusanti legate alle modalità, più o meno crudeli, di questa pratica risulta quindi inutile. I fatti avvenuti in Ghana sono uno spunto di riflessione da cui il resto del globo non è esente. La pena capitale rappresenta un atto contro l’umanità inaccettabile. La condanna a morte non offre al colpevole la possibilità di pentirsi o di chiedere il perdono, oltre a non avere nessuna funzione riabilitativa o educativa. Per questo motivo la lotta contro quest’ingiustizia ha il dovere di assumere un carattere internazionale, con lo scopo di raggiungere l’abolizione in più Paesi possibili.
Francesca Calzà