Il governo Conte sembra pronto a un nuovo giro di vite per provare, ancora una volta, a rallentare il diffondersi della pandemia. Lo fa però tenendo conto degli umori, dei tweet, delle piazze: sacrosanto, certo, ascoltare la voce di tutti. Forse però è ora di scelte di coraggio e non di scelte di consenso, nella gestione del contagio.
Rallentare il contagio, gestire il consenso: se l’impressione a marzo infatti era quella di un inseguimento disperato per tamponare una situazione completamente fuori controllo e, sostenuta, di fatto dagli operatori sanitari, sette mesi dopo la sensazione nella gestione del contagio è ancora quella. Si ha, come dire, la sensazione che di Dpcm in Dpcm, settimana dopo settimana, ci sia una sorta di clima preparatorio per la stretta successiva: ieri si chiudeva quello che la gente, pur storcendo il naso e protestando in piazza, poteva accettare che chiudesse, mentre si rimanda alla prossima settimana la lista delle chiusure per le quali la gente non è ancora pronta oggi.
La retorica del sacrificio
Se a marzo l’idea del sacrificio e della privazione erano accettabili per la forza dirompente con cui la pandemia si è abbattuta improvvisamente sul nostri sistema sanitario, oggi quello che serpeggia nelle piazze e sul tam tam dei social è la rabbia. La rabbia per una pandemia che non passa, la rabbia per un Governo che chiude, ma prima cerca di sentire gli umori dei social, spifferando ai sette venti e in modo strategico il possibile contenuto dei prossimi decreti. Non è un caso infatti che le bozze arrivino nelle redazioni giornalistiche e che escano le anteprime delle chiusure previste da un decreto non ancora firmato: controllare l’umore della piazza è fondamentale nella seconda ondata. Ma, forse, non ci si rende conto che a voler accontentare tutti, non si accontenta nessuno e, inoltre, si porta avanti una gestione raffazzonata di una situazione sempre più drammatica. Con l’aggravante della recidiva.
Il nuovo Dpcm
La nuova stretta, secondo quanto riportato dal Sole24Ore, dovrebbe scongiurare ancora una volta il lockdown nazionale, ma sarebbero previste nuove chiusure per altre attività commerciali, a cui andrebbe ad aggiungersi un freno agli spostamenti tra le regioni.
Mal comune mezzo gaudio?
E se Conte, lo scorso sabato, alla festa de Il Foglio, si è lasciato andare a un mal comune mezzo gaudio, dicendo che “Nessun Paese è pronto alla pandemia“, è chiaro che le persone, questa volta, non riescono ad accontentarsi di un invito al sacrificio in conferenza stampa. Senza quantificazioni sul potenziamento degli investimenti nell’ambito della medicina generale, della telemedicina, ma soprattutto dei test e del tracciamento, è chiaro che sia difficile aspettarsi rispetto e adattamento alle nuove misure restrittive.
Una situazione ribaltata
A marzo, mentre in Francia imperversavano i raduni dei Puffi, eravamo noi italiani a chiederci “Ma i francesi non si rendono conto di quel che accade da noi?“: ora la situazione sembra invertita e Oltralpe risuona la stessa domanda, rivolta a noi italiani, visto che, dati alla mano, siamo ai livelli della Francia di circa due settimane fa. Come ha sottolineato Lorenzo Pregliasco, quattordici giorni fa, con tecnici che dovrebbero sapere leggere i dati e interpretarli in modo fattivamente lungimirante, il Governo varava le misure che prevedevano un massimo di sei persone ai tavoli nei locali. Aggiungeva poi un appello, tanto generico quanto inutile, a non sovraffollare i mezzi e dava un ultimatum alle palestre.
I dati
Secondo i dati riportati da YouTrend, l’indice di gravità di ieri, sabato 31 ottobre, (calcolato su casi, tamponi, ricoveri, terapie intensive, decessi) è salito a quota 68. Abbiamo superato i livelli dell’11 marzo, quando è stato dichiarato il lockdown nazionale. Probabilmente, sempre dati alla mano, la chiusura delle scuole superiori è arrivata troppo in là nel tempo. Il nodo scuole, almeno per elementari e medie, resta poi irrisolto: la ministra sembra dire con i suoi interventi che le scuole aperte servono, perché lo Stato italiano non è in grado di assicurare ai genitori congedi e modelli lavorativi che consentano di stare a casa, evitando magari alle donne di lasciare il lavoro per accudire i figli.
Un’opposizione imbarazzante
Sempre sulle nostre pagine, abbiamo già parlato della demagogia dell’opposizione anche nella gestione del contagio. Forse, con una minoranza seria e intelligente, Conte sarebbe già stato rimpiazzato. Forse, ci staremmo evitando gli articoli che parlano, ancora una volta, di “morti CON, non PER”. Certo, poi a farci redimere e pensare che in fondo Conte non sia poi tanto male, rispetto ai professionisti della gaffe, ci pensa Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria, che tenta ancora di sminuire la situazione con la retorica della malattia che colpisce gli anziani e persone già compromesse. E lo fa con un tweet, oggi a mezzogiorno, a cui fa seguito un altro intervento in cui sostiene di essere stato fran
Per quanto ci addolori ogni singola vittima del #Covid19, dobbiamo tenere conto di questo dato: solo ieri tra i 25 decessi della #Liguria, 22 erano pazienti molto anziani. Persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese che vanno però tutelate.
— Giovanni Toti (@GiovanniToti) November 1, 2020
I casi aumentano per i tamponi?
La sensazione, ad ogni modo, è quella di un copione già visto. Sono già arrivati quelli de “I casi aumentano solo per i tamponi” o anche gli esperti del “Sì ma i casi aumentano per gli asintomatici”, per concludersi con un “Eh, ma bisogna guardare le terapie intensive”. Ecco: le terapie intensive oggi sono occupate da 1843 persone affette da COVID. I livelli sono quelli del 16 marzo. Per giunta, questa volta, sono concentrati in tutta Italia, non solo in Lombardia e Veneto.
Contagio e consenso
A questo punto, per quanto la piazza scalpiti e urli, c’è bisogno di lungimiranza e non di consenso nella gestione del contagio. Capire ora cosa succederà tra un mese è il compito della politica: varare oggi delle misure che i cittadini possono accettare perché proporzionate rispetto ai numeri di oggi, ci porterà a fare inevitabilmente i conti con le impennate nei contagi di domani.
Elisa Ghidini