L’ambasciata USA rimane a Gerusalemme, dove Trump l’aveva spostata per riconoscere la Città Santa capitale di Israele
Nella serata di giovedì il Senato statunitense ha votato – con 97 voti a favore su 100 – la risoluzione per mantenere l’ambasciata USA in Israele a Gerusalemme, dove Trump l’aveva spostata riconoscendo di fatto la Città Santa capitale dello Stato ebraico.
Tre soli i senatori contrari: il “troppo socialista” Bernie Sanders del Vermont, Elizabeth Warren del Massachusetts, Tom Carper del Delaware. La risoluzione era stata proposta da due senatori repubblicani: Jim Inhofe dell’Oklahoma e Bill Hagerty del Tennessee. Entrambi hanno ricordato come questa posizione non sia una novità nella politica americana in Medio Oriente e neanche un’invenzione dell’ex presidente Trump.
I precedenti storici
I due senatori non hanno torto, perché già nel 1995 e nel 2017 il Senato USA aveva approvato degli atti molto simili: nel primo caso con 93 voti contro 5, nel secondo 90 a 0. I presidenti americani erano sempre stati restii a dare un’applicazione a queste risoluzioni, almeno finché non è arrivato Donald Trump.
L’ex magnate dell’industria, diventato presidente, in un viaggio in Palestina nel 2017 in cui incontrò il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas, disse senza troppe spiegazioni di voler finalmente cercare la pace tra i due popoli in conflitto per la stessa terra.
Mister Trump in Medio Oriente
Tornato in patria Trump annunciò lo spostamento dell’ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, concretizzatosi l’anno dopo nel 2018. Peggiorò poi tale posizione riconoscendo la sovranità israeliana sulle alture del Golan, tolte alla Siria e annesse con la Guerra dei Sei Giorni del 1967. Come se non bastasse minacciò e attuò tagli agli aiuti che gli Stati Uniti trasferiscono ai palestinesi attraverso le Nazioni Unite.
Così Trump è stato il primo presidente a realizzare quello che i politici americani e israeliani volevano da tempo, il riconoscimento di Gerusalemme capitale unica e indivisa dello Stato ebraico.
La nuova presidenza Biden
Il neopresidente Joe Biden non potrebbe, né vuole, tornare indietro. L’establishment americano è convinto che la pace sia raggiungibile solo riconoscendo Gerusalemme capitale di Israele: così però gli USA rinunciano a essere mediatori super partes e potenzialmente creano le condizioni per una nuova Intifada.
Anthony Blinken – il nuovo Segretario di Stato americano – aveva già da tempo assicurato che non ci sarebbero state marce indietro sullo status della Città Santa. Allo stesso tempo ha detto di voler ostacolare la costruzione di nuovi insediamenti e di credere nella soluzione a due Stati.
Le condizioni dei palestinesi
I palestinesi non accetterebbero mai uno Stato che non abbia Gerusalemme Est come capitale. Proprio su questo si arenò il vertice di Camp David nel 2000, che avrebbe dato ai palestinesi buona parte dei territori loro appartenenti prima del 1967 ma non Gerusalemme.
La possibilità di raggiungere un accordo da allora è sempre più lontana. Sembrano esserne consapevoli anche i Paesi della Lega Araba che nel frattempo hanno avviato accordi di distensione con Israele. Donald Trump li ha chiamati Accordi di Abramo perché hanno portato al riconoscimento reciproco tra alcuni Paesi islamici e lo Stato ebraico.
Non sono però piaciuti ai palestinesi che si sono sentiti abbandonati. In effetti, secondo la maggior parte dei commentatori, la possibilità di raggiungere un accordo a due Stati è sempre più lontana. Il territorio palestinese è sparpagliato e interrotto da miriadi di insediamenti israeliani e l’Autorità Nazionale Palestinese esercita un controllo molto limitato.
La leadership palestinese è sempre più in crisi, tanto che Abbas ha annunciato elezioni politiche per il prossimo maggio. La linea dell’attuale dirigenza è considerata da molti troppo morbida oltreché portatrice di scarsissimi risultati.
Lorenzo Palaia