George Devereux: la schizofrenia come psicosi etnica occidentale

George Devereux fu tra i primi a prestare un'attenzione sistematica a come la malattia psichica sia un fenomeno culturalmente determinato. Chissà cosa pensava dello sguardo folle del giovane uomo in primo piano nel dipinto "L'uomo disperato" di Gustave Courbet.

George Devereux nel 1965 definiva la schizofrenia una “psicosi etnica occidentale”. Alcuni atteggiamenti e credenze diffusi nella società, infatti, danno alla crisi della persona la forma della malattia. La rendono cronica e maligna, perché nutrono i suoi sintomi. Solo una correzione della cultura, secondo Devereux, potrebbe aiutare la salute mentale. Una sfida che, più di cinquant’anni dopo, non abbiamo ancora colto.

 

La schizofrenia, psicosi etnica

Nel 1965 George Devereux pubblicava un articolo molto discusso tra i professionisti della salute mentale in Europa e in America: La schizofrenia, psicosi etnica. In esso affermava:

l’uomo moderno impara a essere schizoide fuori dall’ospedale psichiatrico e, per questo, schizofrenico dentro le sue mura.

Cosa significa?




George Devereux e la nascita dell’etnopsichiatria

Prima di diventare psicoanalista, George Devereux si era laureato in Etnologia seguendo i corsi di Marcel Mauss.  E, per il dottorato a Berkeley, era stato ricercatore sul campo in America del Nord, presso la tribù dei Mohave. Lì aveva notato come la cultura di appartenenza non offra agli individui solo i modelli per il comportamento normale. Essa predispone anche i modelli per il comportamento deviante, pazzia compresa. In altre parole, in ogni cultura s’impazzisce secondo modalità ben precise. I sintomi, infatti, non hanno carattere universale. Quindi, bisogna considerare anche le caratteristiche del gruppo di provenienza quando si segue un malato. Con queste osservazioni nasceva una nuova disciplina: l’etnopsichiatria.

La schizofrenia: un disturbo occidentale?

Secondo Devereux, ogni cultura porta in sé le proprie nevrosi o psicosi. In alcuni tratti mentali  di tutti i membri, infatti, sono impliciti i sintomi che la malattia esprime. Ora, l’Occidente si distingue per una psicosi molto insidiosa, la schizofrenia. Questa comporta una duratura alterazione della cognizione e della percezione, del comportamento e dell’affettività. La sua evoluzione, superiore ai sei mesi, pone la persona in condizioni di forte disadattamento. Secondo Devereux, la schizofrenia è molto difficile da curare

perché i suoi sintomi sono tenuti in vita da alcuni dei valori più potenti – e più disfunzionali – della nostra civiltà.

Nella sua crisi lo schizofrenico porta al limite le tensioni nascoste nella personalità dell’uomo occidentale.

Atteggiamenti e valori malsani: distacco affettivo e frammentazione

Quali sono i tratti culturali che la schizofrenia manifesta come sintomi?



Anzitutto, il distacco emotivo. Infatti, ai malati e ai normali manca la capacità di vivere le emozioni in modo sano. Questo perché la società occidentale incoraggia il distacco emotivo nelle relazioni. In particolare, l’affettività scarseggia nella vita sessuale. Questo tratto, per paradosso, accomuna i puritani ai più libertini. Si pensa al corpo, ma si trascura la relazione. Questo tratto accompagna la frammentazione nelle attività e nelle relazioni dell’uomo contemporaneo. Ogni atto e ogni rapporto hanno un tempo e un luogo fuori dai quali non devono estendersi. Come osserva Devereux, il problema è che così

la società favorisce lo sviluppo delle azioni “di massa”. Ma compromette lo sviluppo dell’umano, perché limita sempre più il campo delle interazioni autentiche.

Eterni bambini: un problema politico

Il tratto più pericoloso della cultura occidentale, tuttavia, è l’infantilismo. Cioè l’ossessione per un aspetto e un comportamento giovanili. Questa ossessione impone l’obbligo di pensare e comportarsi come bambini. Il problema non è solo medico: è politico. Infatti, osserva lo studioso,

non c’è molta differenza tra un sistema totalitario che riduce le persone ad adulti stupidi e un sistema democratico difettoso che li rende eterni bambini .

Questo tratto corrisponde al crollo della capacità di crescere come individui. La società contemporanea, infatti, incoraggia il conformismo. Ciò è vero non solo per chi ne accetta i valori, ma perfino per chi li rifiuta e si atteggia a ribelle. Gli individui, pertanto, non riescono a formarsi una personalità autonoma e consapevole.

Lo scenario contemporaneo

A oltre cinquant’anni dalla pubblicazione, qual è il valore della prospettiva di Devereux?



Le cause organiche della schizofrenia rimangono incerte.  Le ricerche in corso indicano una combinazione di fattori genetici e ambientali. Questo in parte è in contrasto con l’idea espressa da Devereux, che si diceva scettico riguardo la possibilità di scoprire una causa fisica della malattia. Tuttavia, le osservazioni dello studioso sulle insidie di certi tratti culturali restano strumenti interessanti per leggere il presente. Oggi il disturbo più diagnosticato non è la schizofrenia, ma la depressione, insieme ai numerosi disturbi che porta con sé – qui, ad esempio, Alice Tarditi vi racconta l’anedonia. Il suo sintomo più evidente è la sensazione di impotenza e di assenza di futuro. Questa sensazione corrisponde a un malessere diffuso nella società. E forse non è insensato chiedersi se un tratto della nostra personalità etnica, oggi, non sia la sfiducia nel futuro.

Riconquistare la propria umanità: una sfida ancora da raccogliere

Nella conclusione del suo articolo Devereux osservava che i sistemi sociali destinati a scomparire hanno spesso ignorato l’aumento del malessere psichico. E scriveva:

La nostra società dovrà smettere di favorire in tutti i modi lo sviluppo della psicosi di massa. Altrimenti, scomparirà. La scadenza per recuperare la nostra salute mentale è vicina. Dovremo riconquistare la nostra umanità nel quadro stesso della realtà. O estinguerci come civiltà.

La sfida di George Devereux in questi 55 anni non è stata raccolta. Oggi, però, la fragilità della salute mentale delle persone e il malessere che vive la società rendono evidente che ormai il cambiamento non può più aspettare.

Valeria Meazza

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