Paolo Gentiloni com’era prevedibile e ormai noto a tutti è il Presidente incaricato per formare un nuovo governo.
Ha la missione di sostituire Renzi, per adempiere agli impegni che il Quirinale definisce inderogabili e urgenti (decreto per l’aiuto ai terremotati, salvataggio Mps); per affrontare gli impegni internazionali come il prossimo Consiglio europeo (Gentiloni non a caso vanta una tradizione familiare in diplomazia) ; e soprattutto lo spinosissimo problema della stesura di una nuova legge elettorale.
Sembrerebbe che la funzione di Gentiloni, secondo le forze che lo sosterranno, sia quella di far decantare il momento di grande travaglio politico, in vista di nuovi equilibri.
Che, per le opposizioni quasi al completo, vuol dire semplicemente che Gentiloni “tiene il posto in caldo a Renzi”.
Il ruolo di Gentiloni
Gentiloni, che sia vero o no quanto sostengono i suoi oppositori, si inserisce in una fase che sembra cruciale, perché potrebbe essere quella di passaggio da un ecosistema istituzionale ad un altro.
Cioè, da una fase in cui la maggioranza degli elettori si riteneva rappresentata dall’assetto politico-istituzionale, ad una fase in cui questo non è più vero.
Il 60% per il No ha precisamente questo significato.
Il periodo in cui prevaleva un organizzazione del consenso popolare fondato sul verticismo e sul potere mediatico della televisione, è forse finito.
La grande partecipazione al voto di domenica 4 dicembre dimostra che adesso il pendolo della storia oscilla verso una domanda di contare più direttamente, e di maggiore rappresentanza dei bisogni sociali.
Insomma: termina davvero la Seconda Repubblica, fondata sul referendum del 18 aprile 1993, in cui si affermò il maggioritario e quindi la domanda di governabilità.
E inizia una Terza Repubblica.
Che, come la Prima, affermatasi col referendum del 2 giugno 1946, si dovrebbe impostare su una legge elettorale proporzionale.
Ma differentemente dalla Prima, questa Terza Repubblica non sembra poter avere al suo centro l’azione di solidi partiti di massa (partitocrazia o democrazia partitocratica).
La crisi dei partiti in realtà è iniziata da almeno quarant’anni; e continua, probabilmente, soltanto che con la crisi dei partiti si va approfondendo la crisi delle stesse istituzioni – in primis il Parlamento.
Gentiloni: una storia importante
Non posso approfondire adesso questo discorso, ma credo che sia interessante mettere in evidenza due cose, pescate nella storia, ovverossia la prima nel passato biografico e l’altra nel passato remoto di Gentiloni.
La prima:
Gentiloni ha certamente una connotazione da renziano al cento per cento (alcuni dicono che sia più renziano di Renzi !) e in ogni caso è chiaramente un esponente degli assetti politici che in occasione del referendum sono stati nuovamente scossi e contestati.
Insomma: il suo è un governo tecnicamente “ conservatore”.
Gentiloni extraparlamentare
Il paradosso (ma per la storia italiana, e non solo, è un ricorso storico) è che Gentiloni sia anche il primo Presidente del Consiglio con un passato da extraparlamentare.
Non nel senso in cui anche Renzi è un extraparlamentare (non essendo Renzi mai stato eletto alla Camera o al Senato) : anche se questo aspetto è stato ed è molto significativo per comprendere la fase storica e politica che viviamo.
No: Gentiloni è un ex extraparlamentare, nel senso in cui si definiva tale chi militava nei movimenti a sinistra del Pci, fra anni 60 e 70.
Insomma: Gentiloni ha cominciato la carriera come “estremista di sinistra”. E contestatore feroce del Pci, quale partito “autoritario” e sostanzialmente “borghese”.
Militò nell’area del Manifesto, e quindi nel Pdup (partito democratico di unità proletaria), e in generale nel movimentismo sessantottino che allora incubò le carriera di molti.
Allora ben pochi li avrebbero chiamato populisti: ma forse non lo erano, a loro modo?
Gentiloni ecologista-giornalista
E come molti altri, la svolta ecologista (da esponente di Legambiente) negli anni 80 rappresentò la strada per reinserirsi nell’alveo istituzionale.
Da giornalista, ecologista e laico-liberale, potè inserirsi in quel “movimento civico” (antipartitico) di cui anzi fu tra i teorici e massimi organizzatori e protagonisti : divenendo braccio destro di Rutelli.
Da lì, una carriera importante prima a Roma, dedicandosi al gran circus del Giubileo; poi come ministro-gran maestro delle Telecomunicazioni, nel gabinetto Prodi-bis.
Mai amico, ma neanche nemico, di Berlusconi.
Gentiloni renziano
Fautore, Paolo Gentiloni, anche prima di Renzi, di un blairismo del tutto alternativo alla tradizione del Pci.
Fino a diventare, dopo aver perso le primarie per la carica di sindaco nel 2013, il ministro degli Esteri al posto della Mogherini, e mettere insieme due anni dai risultati nel complesso sufficienti alla Farnesina.
Nel mezzo, la vittoria alle primarie del Pd di Renzi : salutate da Gentiloni come “il giorno più bello” in cui “abbiamo battuto il Moloch comunista”.
Insomma: il giorno in cui, da moderato, finalmente aveva realizzato il sogno di tutti gli extraparlamentari dell’epoca della contestazione: sconfiggere l’egemonia del Pci.
Per farlo, ha certamente dovuto spostarsi a destra, del Pci medesimo. Prendendo la rincorsa dall’altro lato dello spazio politico-elettorale.
La sua sapienza organizzativo-mediatica è stata fondamentale per arrivare sin qui; mentre evidentemente il dominio delle televisioni stavolta ha dovuto cedere il passo alla nuova fase dominata dal Web 2.0.
Comunque rivalità col Pci e avversione alla partitocrazia è stata la sua cifra : dal movimentismo di 50 anni fa al renzismo odierno.
E adesso, ribadiamo, questo background dovrebbe servirgli per gestire la fase di passaggio attuale.
Gentiloni, Ottorino conte dei
Ma Gentiloni ha una storia familiare notevole: rampollo dal cognome prominente, è pronipote di quel conte Gentiloni che nel 1913 strinse un accordo (informale ma saldissimo) fra i liberali di Giolitti e i cattolici, in vista delle elezioni.
Cos’era successo? E che c’entra l’odierno Gentiloni Paolo?
Si era in una fase di passaggio analoga alla nostra: la spinta delle masse operaie e popolari, aveva portato fra l’altro alla riforma elettorale con l’introduzione del suffragio universale (maschile).
Giolitti (un po’ il Renzi dell’epoca)aveva guidato questa svolta: ma non voleva certo lasciare il governo alla Sinistra.
La soluzione: una alleanza elettorale (molto articolata) fra i due arcinemici dei primi anni dopo l’Unità.
Cioè fra i liberali, laici e massonici, da un lato, e i cattolici conservatori, dall’altro.
Il conte Gentiloni rappresentava questi ultimi.
Così fu, che per il momento i socialisti rimasero in minoranza in Parlamento (per non ricordare che il Senato non era elettivo per niente).
Si formò una alleanza di centro o forse centrodestra: che si insediò proprio al centro del sistema.
Due anni dopo, in ogni caso, il Paese entrò in guerra – contro il volere della maggioranza del popolo e degli stessi parlamentari.
Corsi e ricorsi dei Gentiloni
Insomma: un Gentiloni, cent’anni fa, gestì una fase di oggettivo ampliamento della democrazia, garantita da una riforma elettorale (il suffragio universale) ma in modo tale che non portasse a squilibri troppo “sinistri”.
E’ ancora da capirsi se quello che ne derivarono furono dei validi equilibri, visto il seguito della storia.
L’importante, per i Gentiloni – che si consideri il 1913 o il 2016, che si parta da destra o da sinistra – pare sia sempre mettere i bastoni fra le ruote agli eredi del socialismo, e limitare la spinta democratica delle masse.
Chi può dire se il pronipote dei conti Gentiloni oggi non pensi di realizzare una simile operazione?
Corsi e ricorsi, citando banalmente Vico; trasformismo, unico modo per governare l’Italia, direbbero forse altri, non meno sapienti ed autorevoli, studiosi delle cose d’Italia.
ALESSIO ESPOSITO ( https://www.facebook.com/tiggistoria/ )