Gentile da Foligno: un medico che vorresti accanto in una pandemia

Gentile da Foligno durante un esame delle urine

Mentre infuriava la Peste Nera, molti fuggivano anche tra chi non avrebbe dovuto: medici compresi. Uno, invece, per capire e per cercare di aiutare andò dritto verso il contagio e la morte: Gentile da Foligno. Ma chi era costui?

Gentile da Foligno è il tipo di medico che, quando si mette male, vorresti avere dalla tua. La ragione? Che prendeva davvero sul serio il Giuramento di Ippocrate. E non in un periodo qualsiasi: tra il XIII e il XIV secolo, in piena epidemia di Peste Nera. Quando nell’esercizio del proprio dovere spessissimo il medico finiva per lasciarci la vita.



Gentile da Foligno: il percorso biografico

Tra Perugia e Foligno nel XIV secolo non correva buon sangue. Tuttavia, Gentile da Foligno fu tanto apprezzato da entrambe le città da riuscire, con la propria influenza, a mettere pace almeno per un po’.

D’altra parte, aveva nobili natali e la giusta cultura per poter brillare come professionista e come figura politica in quel tempo. Imparentato con i conti che reggevano Foligno, il futuro medico studiò – come si addiceva a un suo pari – a Bologna, la più prestigiosa università dell’epoca. Qui ebbe come docente Taddeo Alderotti, un esule fiorentino citato nientemeno che da Dante nel Paradiso (XII, 82-85). E ne uscì così esperto da venir subito chiamato, nel 1322, a Siena, dove gli fu offerta una cattedra all’Università.

Nel 1325, però, a Gentile da Foligno venne l’invito dal comune di Perugia di diventare lettore presso la nuova scuola di Medicina. Oltre alla cattedra, il comune offriva al medico il dono di una casa vicino alla chiesa di Sant’Agostino e il prestigio della cittadinanza perugina. Gentile da Foligno accettò e rimase a Perugia per il resto della sua vita, se si esclude una parentesi tra il 1337 e il 1343. In quel periodo, infatti, accettò l’invito di Ubertino da Carrara a insegnare all’Università di Padova, secondo ateneo per prestigio dopo Bologna.

Fatto ritorno a Perugia, tuttavia, la peste era già alle porte e di lì a poco tempo cominciò a mietere un numero spaventoso di vittime. Mentre quasi tutti i medici fuggivano o si ritiravano in campagna, Gentile da Foligno rimase. Mostrando la propria tempra e un coraggio fuori dall’ordinario, continuò a visitare i malati, ad assistere i moribondi e a cercare di capire l’eziologia del morbo. Purtroppo non vi riuscì: contratta la malattia, morì il 18 giugno 1348.

Il lavoro del medico durante la peste

I contemporanei e i successori di Gentile da Foligno nei testi dell’epoca si riferiscono a lui con diversi epiteti, tutti lusinghieri. C’è chi lo chiama medicorum princeps, chi subtilissimum doctorum speculator, chi anima Avicennae. La ragione di questi titoli è che Gentile da Foligno leggeva, leggeva, leggeva il canone della tradizione medica giunto fino a lui. Conosceva abbastanza bene il greco e perfettamente l’arabo, perciò Galeno ed Avicenna per lui non avevano segreti. Solo che non si accontentava di leggere: era un medico, non un teorico dogmatico.

In particolare, quando a Perugia scoppiò l’epidemia di peste, il dottore si rese conto che tutta la scienza medica dell’epoca a livello terapeutico era inutile. I suoi maestri, viventi e di carta, ne sapevano quanto lui su come guarire la malattia, e cioè niente. Perciò Gentile da Foligno cominciò a osservare da vicino i sintomi, gli effetti sul corpo della peste, sui vivi e sui cadaveri. Questa scelta gli costò la vita, ma ne salvò molte altre. Infatti Gentile da Foligno fu il primo a suggerire ai cittadini di abbandonare la città, ritirarsi in campagna ed evitare i contatti non necessari. Fece informazione, divulgò opuscoli preventivi vergati dai suoi assistenti e continuò a cercare di lenire le sofferenze dei malati come poté, fino all’ultimo.

Un clinico e uno studioso

Del resto, l’approccio profondamente informato dallo studio dei testi eppure non dogmatico alle questioni mediche era un tratto distintivo di Gentile da Foligno. In particolare, prima di trovarsi impegnato a combattere l’epidemia della peste, il medico da diagnosta si era interessato dei reni. Aveva concettualizzato diverse patologie, coniando il termine nefrite per parlare dell’infiammazione dei reni, e per primo aveva ipotizzato correttamente il funzionamento dell’escrezione dei liquidi.

Non solo. Gentile da Foligno seppe coniugare i risultati della scuola medica greco-romana e della scuola salernitana, traendo da entrambe i più efficaci criteri diagnostici. Infatti, mentre la medicina classica esaltava la preminenza del sangue e delle pulsazioni, quella più recente dava un’importanza fondamentale all’esame obiettivo delle urine. Nel suo lavoro, rifiutando dogmatiche scelte di campo, il medico trasse il meglio da entrambe le prospettive e servendosene nell’interesse dei pazienti.

Per farsi un’idea del suo impegno e della sua straordinaria esperienza clinica, basta dare un’occhiata alle sue opere. Moltissimi testi teorici, certo, ma anche ben 218 Consilia, cioè raccomandazioni terapeutiche per i casi trattati. Come dei case-study contemporanei, per mettere le proprie conoscenze al servizio dei colleghi.

Una polemica (vi pareva potesse mancare?)

Nonostante la sua vita e il suo lavoro parlassero da sé, dopo la sua morte Gentile da Foligno fu al centro di una vivace polemica. Correva l’anno 1480 e tale Antonio Bettini da Siena, allora vescovo di Foligno, ebbe un’ideona. Nel suo De divina preordinatione vitae et mortis, pensò bene di dare del misantropo al medico della peste. Certo, scriveva Bettini, le indicazioni di Gentile da Foligno erano utili e buone, ma per i sani. E i malati? Se tutta la popolazione fosse scappata in campagna, chi si sarebbe preso cura dei malati e delle loro anime afflitte?

Per riabilitare pienamente il nome di Gentile da Foligno, sarebbe stato necessario aspettare il 2 luglio 1911. Nell’aula magna dell’appena inaugurata Università di Perugia, infatti, venne posto un busto commemorativo in onore del medico di Foligno. Contestualmente, Monsignor Michele Faloci Pulignani, Canonico della Cattedrale di Foligno, smentì le parole di Bettini. Al contrario, il suo discorso rilevò come Gentile da Foligno fosse stato un esempio di virtù cristiane e civili. Sì, nei suoi scritti invitava chi poteva ad abbandonare la città: ma lui, che del medico aveva anche la coscienza, sapeva bene di non potere.

Chissà che penserebbe di tutta questa storia Gentile da Foligno? Probabilmente, nulla. Darebbe una scrollata di spalle, direbbe che la madre dei cretini è sempre incinta. E poi, concentrato e un po’ burbero come il busto che lo ritrae a Perugia, se ne tornerebbe sollecito dai suoi malati.

Valeria Meazza

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