Tra palazzi nobiliari e vicoli tortuosi seguiamo le vie che conducevano i genovesi al piacere esplorando le zone a luci rosse della città dal medioevo fino all’abolizione nel 1958.
Le origini del quartiere a luci rosse
Percorrendo oggi la lussuosa Via Garibaldi, in pochi potrebbero indovinare che fino al ‘500 fosse la sede del bordello pubblico. Al tempo delle Repubbliche marinare, in pieno medioevo, il quartiere a luci rosse si estendeva dalla Maddalena fino a Porta Soprana. La prostituzione a Genova venne regolamentata sin dal 1418 attraverso una tassazione imposta alle meretrici sui proventi delle loro attività. Le prostitute pagavano 5 genovini al giorno e avevano diritto a una tessera sanitaria come alla giornata libera, frequentavano regolarmente la messa alla domenica e seguivano la processione della Maddalena, loro santa patrona. L’amor sacro e l’amor profano si incontravano dunque, e non soltanto per la messa. Furono infatti anche le tasse pagate dalle “signorine” a finanziare i restauri della Cattedrale di San Lorenzo, il duomo dei genovesi.
La professione era regolamentata anche in termini di sicurezza. Le “signorine” infatti avevano a disposizione un portinaio che vegliava sulla loro incolumità e, nel caso in cui qualche malintenzionato usasse loro violenza, venivano risarcite economicamente con una diaria, il corrispettivo di una giornata di lavoro perso.
La svolta del ‘500: i vicoli a luci rosse
Nel 1550 a Genova avvennero grandi stravolgimenti urbani. I nobili genovesi decisero di costruire le proprie sontuose dimore dando vita a quella che verrà chiamata “Strada Nuova” proprio nella Via Garibaldi che fino ad allora ospitava le case di piacere.
Le attività a luci rosse vennero dunque spostate più a valle della città, in particolare nella famigerata Via della Maddalena. Un altro vicolo particolarmente noto per le attività a luci rosse era Vico delle Carabaghe altrimenti definito “il corridoio della perdizione a pochi spiccioli” dove, per la prima volta, si intraprese la pratica di esporre le donne in vetrina. Lungo la via gruppi di prostitute sedute su sedie in legno fumavano sigarette di contrabbando con intenzioni allusive per attirare l’attenzione dei passanti e potenziali clienti. A causa della presenza dei numerosi bordelli, all’entrata del vicolo era apposto un segnale che ne vietava persino l’accesso ai bambini e alcune leggende narravano che il nome originario della via fosse addirittura “Vico delle Calabraghe”. La vocazione erotica della strada ne spiegherebbe infatti il toponimo scelto per indicare in modo esplicito il gesto di “calarsi le braghe” per spogliarsi.
Con buona probabilità si trattava solo di una leggenda e il nome della via si originava in realtà dalle catapulte conservate in zona per difendere Porta Soprana dai nemici. Proprio nei pressi di Vico delle Carabaghe ci si imbatte in Vico Castagna, famoso invece per ospitare le case chiuse dedicate ai più giovani che, accompagnati da genitori o amici, venivano così tradizionalmente iniziati ai piaceri dell’amore. La stessa cosa avveniva in Vico dei Ragazzi, dove veniva consentito l’accesso ai minorenni – cosa altrimenti proibita – sotto il pagamento di lauto compenso alle forze dell’ordine da parte della maitresse Angioina.
Dalle case del piacere alle case chiuse
Il mercato del meretricio continuò a prosperare florido fino all’Unità d’Italia quando Camillo Benso conte di Cavour istituì la legge sulle case chiuse che vennero infatti fornite di persiane chiuse e finestre rigorosamente oscurate per evitare sguardi indiscreti sulle lussuriose attività che si svolgevano negli interni delle alcove. Queste erano censite come edifici di lusso e ne subivano la stessa tassazione, sebbene non tutti fossero ambienti sontuosi. Accanto ai più lussuosi “Suprema” e “Mary Noir” considerati bordelli di prima categoria dove ai clienti venivano offerti caviale, champagne e ogni genere di comodità, c’erano anche luoghi più umili in cui i clienti venivano ricevuti su panche di legno e nascosti dietro separé in tessuto.
Ancora oggi è possibile consultare i prezzari delle ore di piacere offerte dalle case chiuse. Ne è conservata infatti una targa ancora visibile all’interno del locale “Il Barbarossa” nei pressi di Porta Soprana, dove si possono distinguere i prezzi in base alla durata delle prestazioni e alla dotazione di acqua e sapone per i clienti.
I cantautori del piacere
Ritornando a Vico delle Carabaghe, pare che proprio le pareti viola di una delle case chiuse della via abbiano ispirato il testo della canzone di un noto cantautore genovese, Gino Paoli, che ne cantò l’incanto e la voluttà ne “Il cielo in una stanza”.
Quando tu sei vicino a me
Questo soffitto viola
No, non esiste più
Io vedo il cielo sopra noi
Gino Paoli non fu l’unico artista a cantare le prodezze erotiche vissute tra le pareti delle case di piacere. Anche altri cantautori, uno su tutti Fabrizio De André, hanno spesso e volentieri celebrato le figure delle signorine di strada. A partire dalla famosissima “Bocca di Rosa“, pietra dello scandalo capace di scuotere il sonno morale di un paesino e di suscitare turbamenti tra l’amor sacro e l’amor profano, si può ricordare anche la “graziosa” descritta tra le righe di “Via del Campo”, la donnina allegra che – stando ai lati della strada – vende a tutti la stessa rosa.
Via del Campo c’è una graziosa
gli occhi grandi color di foglia
tutta notte sta sulla soglia
vende a tutti la stessa rosa.
La Legge Merlin e il dibattito
‘Sottrai le prostitute al genere umano e ogni cosa sarà sconvolta dalle passioni della lussuria’
Per inciso è giusto ricordare che la prostituzione non è proibita in Italia, ma al contempo, non essendo regolamentata, risultano illegali le attività collaterali di gestione. Attualmente non è stato approvata la proposta di legalizzarle ma, se a pagare le spese di questa riapertura risulterebbe il “decoro” dei quartieri interessati, non sono da ignorare i vantaggi di questa svolta. Dalla possibilità di regolamentare le entrate fiscali contrastando il mercato nero, al rilancio del mercato immobiliare con affitti legalizzati fino alla possibilità di vedere nel controllo delle prestazioni sessuali una soluzione per combattere la criminalità non lasciando più le lavoratrici in balia delle organizzazioni criminali e dei clienti. Al di là di benefici economici e sociali, la legalizzazione porterebbe a maggior sicurezza e dignità per queste donne come per i residenti dei quartieri coinvolti.