Genocidio Rohingya: l’Onu accusa il governo birmano, la comunità internazionale e Facebook

Fonte: Kevin Frayer - Getty Images

Gli esperti delle Nazioni Unite, inviati in Myanmar con il compito di indagare sulle violazioni dei diritti umani e sul massacro dei Rohingya, hanno dichiarato oggi, 13 marzo, sia che le forze di sicurezza birmane hanno commesso dei crimini internazionali nello stato di Rakhine contro il popolo dei Rohingya, sia che il social network Facebook ha svolto un ruolo importante nella diffusione dell’odio contro la minoranza musulmana, con catastrofiche conseguenze.

È aumentata “drammaticamente” la militarizzazione dello stato di Rakhine in Myanmar, da dove lo scorso agosto sono fuggiti più di 670.000 Rohingya a causa di una campagna senza precedenti di persecuzione da parte dell’esercito birmano.





Le dichiarazioni dell’ONU sono state fatte il giorno dopo la presentazione del rapporto di Amnesty International, pubblicato ieri 12 marzo, che afferma che basi militari, eliporti e strade sono stati costruiti nella zona di origine della minoranza musulmana: le demolizioni dei villaggi e lo sgombero dei Rohingya ancora presenti a Rakhine, si sono moltiplicati dall’inizio dell’anno, proprio per far spazio alle nuove costruzioni.

Rohingya
Fotografie satellitari pubblicate da Amnesty International.

Tirana Hassan, direttore dell’area di crisi di Amnesty, ha affermato:

“Quello che stiamo vedendo nello stato di Rakhine è un drammatico appropriamento di terre. Sono state create nuove basi per ospitare le stesse forze di sicurezza che hanno commesso crimini contro l’umanità perseguendo i Rohingya”.

Il consigliere speciale delle Nazioni Unite per la prevenzione del genocidio, Adama Dieng, dopo aver visitato i campi profughi dei Rohingya a Cox’s Bazar e aver ascoltato le “storie dell’orrore” raccontate dai profughi rifugiati a Bangladesh, che hanno denunciato arresti, esecuzioni arbitrarie, torture e stupri da parte delle forze di sicurezza birmane, ha confermato che sono stati commessi crimini internazionali in Birmania, dichiarando:

“Quello che ho sentito e visto a Cox’s Bazar è una tragedia umana che porta le impronte del governo birmano e della comunità internazionale. La campagna di terra bruciata iniziata dalle forze di sicurezza birmane dall’agosto del 2017 contro i Rohingya era prevedibile e prevenibile.

La comunità internazionale ha sepolto la testa sotto la sabbia e il costo è stato la loro vita, la loro dignità e le loro case.

Tutte le informazioni che abbiamo ricevuto indicano che l’intenzione degli autori era di ripulire il Rakhine settentrionale dalla loro esistenza, forse anche di distruggere i Rohingya in quanto tali, che, se accertata, costituirebbe il crimine di genocidio.

Bisogna assumersi le responsabilità per i crimini che sono stati commessi. […] Il mondo ha bisogno di dimostrare che non è disposto a tollerare tali atti barbarici.”.





L’ONU non accusa solamente la comunità internazionale di indifferenza, ma se la prende anche con il social network Facebook per aver istigato all’odio contro la minoranza Rohingya.

Marzuki Darusman, presidente della missione di ricerca, ha detto:

Ha contribuito in modo sostanziale al livello di acrimonia, dissenso e conflitto diffuso nell’opinione pubblica. Naturalmente l’odio è parte di ciò. Per quanto riguarda la situazione in Myanmar, i social media sono essenzialmente Facebook.”.

Facebook, il social network più popolare al mondo, ha ammesso la difficoltà che affronta per combattere l’istigamento all’odio, che definisce come un attacco alle persone basato sulla loro razza, orientamento sessuale e altre caratteristiche: solo l’anno scorso ha eliminato circa 66 mila messaggi a settimana, 288 mila mensili.

Facebook ha immediatamente risposto alle accuse:

Non c’è spazio su Facebook per contenuti che promuovono odio e violenza, lavoriamo senza sosta per tenerli lontani dalla nostra piattaforma. Abbiamo investito in modo significativo in tecnologia e nelle competenze linguistiche locali per rimuovere rapidamente i contenuti violenti e le persone che violano ripetutamente le nostre policy contro l’ incitamento all’odio. Affrontiamo molto seriamente questo tema e abbiamo lavorato per diversi anni con esperti in Myanmar per sviluppare risorse per la sicurezza e campagne di counter-speech. Questo lavoro include una pagina di sicurezza dedicata al Myanmar, una versione locale illustrata dei nostri Standard della Comunità e costanti momenti di formazione per la società civile e per i gruppi in tutto il Paese. Naturalmente, possiamo fare ancora di più e continueremo a lavorare con esperti locali per aiutare a mantenere la nostra comunità al sicuro.”.

Fonte: Kevin Frayer – Getty Images




È di fondamentale importanza trovare colpevoli e responsabilità; ma ancora più urgente e indispensabile è trovare una soluzione concreta e immediata per fermare il massacro dei Rohingya e ridare una casa e una vita dignitosa ai sopravvissuti di questo genocidio (o come altro lo si voglia chiamare in mancanza di ulteriori prove…).

 

 

Fadua Al Fagoush

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