La Camera approvala mozione che impegna il governo a “riconoscere ufficialmente il genocidio armeno e a darne risonanza internazionale”.
Nessun voto contrario, 43 deputati astenuti: tutti di Forza Italia. Seguono applausi dalla Camera, consapevole di aver preso una decisione giusta e umana contro il sangue con cui la Turchia si è macchiata le mani durante la Prima Guerra Mondiale. Ma la Turchia di Erdogan non ci sta. La condanna del Parlamento italiano contro il genocidio armeno suscita non pochi fastidi nel vecchio Impero Ottomano, nonostante sia stato dichiarato che il voto non è un atto ostile nei confronti del governo turco di oggi. Governo, tra l’altro, ritenuto amico dall’Italia, in quanto ponte fondamentale tra Oriente e Occidente.
Erdogan condanna fermamente la mozione proposta nel Parlamento italiano sugli avvenimenti del 1915. Non riconosce il genocidio degli armeni poiché sostiene che i massacri del 1915 siano avvenuti nell’ambito di un conflitto e non sono stati orchestrati su base etnica o religiosa. Contesta anche le cifre delle vittime.
Per Andrea Delmastro (Fdi) il voto della Camera è “una vittoria di un Parlamento che ha resistito alle pressioni turche che ha convocato il nostro ambasciatore ad Ankara e ha inviato l’ambasciatore turco in Parlamento per condizionare il voto”. La posizione così espressa da Montecitorio, ha puntualizzato Enrico Carelli del M5s, “non mette in discussione l’amicizia, i buoni rapporti con uno Stato amico, ben diverso dall’Impero Ottomano”. E sempre riferendosi ad Ankara ne ha sottolineato il “ruolo strategico di porta tra Oriente e Occidente”.
Il primo genocidio del XX secolo
Una tragedia che ha le sue radici nel 1894, con le prime, violente repressioni della protesta armena da parte degli ottomani e della fazione dei Giovani turchi, dopo secoli di pacifica convivenza, e culmina con le stragi del 1915, complice l’ingresso della Turchia in guerra.
Sterminati da inedia, malattie, freddo o omicidi mirati, un milione e mezzo di armeni furono vittime dell’indiscriminato massacro turco. In solo un anno e mezzo, dalla primavera 1915 all’autunno 1916, i Giovani Turchi diedero forma a quello che oggi ricordiamo come genocidio armeno. Gli armeni lo chiamano Medz Yeghern, “Grande Crimine”, e viene commemorato ogni anno il 24 aprile, data che diete il via alle deportazioni.
Negli anni antecedenti alla Prima Guerra Mondiale, i Giovani Turchi governavano l’Impero Ottomano. Forti nemici dei russi, temevano che gli armeni potessero allearsi con gli avversari del Cremlino. Allo scoppio della guerra, i battaglioni armeni furono reclutati dall’esercito e finanziati dalla Francia, che sperava in una rivolta armena contro l’Impero Ottomano.
Le deportazioni iniziarono nella notte tra il 23 e il 24 aprile 1915. L’élite armena di Costantinopoli, oggi Istanbul, fu deportata in Anatolia e massacrata durante il viaggio. In un solo mese, più di mille giornalisti, scrittori, poeti e politici furono sterminati lungo la marcia. Le cosiddette marce della morte, che coinvolsero in un anno e mezzo più di 1.500.000 di persone, molte delle quali morte per sfinimento.
Queste marce furono organizzate con la supervisione di ufficiali dell’esercito tedesco. Le marce verso i lager nazisti della Seconda Guerra Mondiale sembrano ispirarsi proprio alle marce verso l’Anatolia del genocidio armeno. Anche la programmazione scientifica delle esecuzioni nei campi di sterminio si rifanno al metodo utilizzato dall’Impero Ottomano per liberarsi degli armeni.
La notizia del genocidio comincia a diffondersi, nel mondo. Le reazioni sono indignate. Gli Stati Uniti inviano aiuti, l’Inghilterra, a fine guerra, preme perché si arrivi a un processo. I responsabili delle stragi vengono condannati a morte, ma riescono a fuggire. La vendetta armena li raggiungerà lo stesso. Poi, nel 1923, nasce la nuova Turchia di Ataturk. Il genocidio diventa argomento scomodo, al punto che, oggi, sono moltissimi i turchi che negano quanto accaduto cento anni fa.
Ilaria Genovese