No, non c’è alcuna pazzia nell’arte. Anzi, al contrario in questa vige la regola del metodo e dell’equilibrio, nonché una costanza quasi maniacale. Allora perché questo stereotipo di genio e follia?
Il problema è nel linguaggio. L’artista, di fatti, utilizza un sistema comunicativo che esula da qualsiasi consueta morfologia
E’ una crittografia dell’anima che richiede la necessità di un sistema empatico molto accentuato. L’opera che ne scaturisce non è una rappresentazione simbolica del pensiero, bensì la riproduzione del vuoto.
Questo sembra confondere, perché genio e follia potrebbero accumunarsi solo per quest’idea astratta di vacuità. Sennonché il vuoto artistico non è affatto il “nulla” come lo intendiamo noi, piuttosto esso è una dimensione tangibile che racchiude sensazioni primigenie.
L’artista riesce quindi a decifrare pulsioni inconsce, che non dispongono né di un simbolo né di un nome proprio
Ecco la difficoltà comunicativa. Ed ecco perché spesso capita che lo stereotipo genio e follia sostituisca, erroneamente, il vero aspetto dell’arte.
Di fatti, entrando in un linguaggio primordiale, si riesce a dare forma reale alle percezioni, all’immaterialità. Ma per fare ciò è necessario metodo e organizzazione, nonché una profonda razionalità.
Per non confondere genio e follia è necessario congiungere la forma all’informe , ossia compiere una fusione tra apollineo e dionisiaco
Dare un’armonia estetica allo spirito, a ciò che concepiamo come sensazione astratta, non è affare semplice. E’ un’operazione complessa dove occorre una mediazione pratica, che solo l’artista sa compiere. Esso di fatti esegue una procedura che tende a velare l’inconscio puro e crudo, portando alla luce l’opera che è sintesi armonica tra sublime e tangibile. Genio e follia non sono dunque paragonabili, in quanto l’opera d’arte non è delirio, né un’allucinazione. Al contrario essa è un equilibrio instabile che difficilmente si riesce a percepire, se non nella forma finale. In breve, il vero artista possiede la capacità di rappresentare Dioniso (puro spirito) nella fattezza di Apollo (armonia estetica).
Dobbiamo prestare attenzione, perché oggi soffriamo di una sorta di “bulimia artistica”, come successe nella “Body Art”
Infatti spesso la follia viene esaltata come ispirazione e il deliro come la sua realizzazione. Ciò trasforma inevitabilmente tutti – purché privi di senno – in potenziali artisti. Ad esempio il movimento estremista della “Body Art” nato alla fine degli anni sessanta, faceva sì che gli artisti si esprimessero esibendo il proprio corpo martoriato: tagli, morsi e quant’altro; oppure anche escrementi e secrezioni. Tutto pur di avvalorare una ribellione alla sterilità delle forme, un processo di de-sublimazione che cercava di ricondurre l’unità immaginaria alla forma del caos.
Spesso la Body Art viene erroneamente associata ai tagli sulla tela di Lucio Fontana, che invece avevano un significato più profondo
La tela squarciata di Fontana creava infatti una profondità nello spazio bidimensionale. Di certo era un concetto più sublime di quanto si possa, a primo acchito, immaginare. Perché un artista come Lucio Fontana è qualcuno che inventa uno stile. E’ colui che personalizza, in modo del tutto unico e irripetibile, il linguaggio dell’arte, sfidando un obsoleto sistema contemporaneo, non più utile a concretizzare la sua visione. Ecco perché il vero artista non tende ad una acquisizione cumulativa del sapere, piuttosto è naturalmente propenso – tramite un interiore movimento dell’essere – alla creazione rivoluzionaria. Spesso infatti l’artista ha il dono della veggenza e si riconosce per il fatto di non essere minimamente capito in vita. Giorgio Morandi, famoso pittore del Novecento, a tal proposito citava:
“La nostra arte deve dare il brivido della sua durata, deve farcela vedere eterna”
G. Morandi
Per raggiungere tale scopo l’artista ha bisogno di un vettore e gli strumenti sono i mezzi con i quali egli costruisce l’opera immortale
Questi mezzi non sono solo mani, braccia, gambe, voce o quant’altro; bensì ogni strumento a lui utile per raggiungere la forma. Pollock ad esempio trovò scomoda la tela verticale, così la piazzò a terra e ci fece colare sopra la tinta. Allora si penserà che, forse, il suo versare vernice fosse un delirio da pazzoide incompreso? E invece no, lui stesso disse che aveva una tecnica precisa per fare ciò e che se il colore non scendeva come diceva lui il quadro era perso. Esatto, disse proprio cosi: “Il quadro è perso”.
Genio e follia in tutto ciò sono feroci antagonisti, perché se non fosse per una calcolata razionalità l’opera sarebbe – come disse appunto Pollock – persa per sempre
E’ un duro lavoro di studio e metodo a cui l’artista si sottopone per raggiungere la perfezione. Così come James Joyce che tutti i giorni si imponeva di scrivere almeno un certo numero di frasi poetiche, o lo stesso Vincent van Gogh che la mattina si svegliava, come qualsiasi operaio e imbracciato cavalletto e valigetta di colori, si dirigeva fuori a dipingere di tutto: il cielo, un campo di grano, il vento… Era un allenamento costante degno del più ligio stacanovista.
La follia non può rientrare nel campo dell’arte, se non veicolata da una genialità del tutto figlia del pragmatismo più potente
Non è dunque l’ispirazione folle che crea l’arte – certo può essere utile – ma finché non si impone l’azione, neanche l’impulso più feroce riesce a prendere forma. Questa è la regola valida per qualsiasi arte: musica, poesia, danza, scultura… Ognuno di questi campi necessita di tecnica e soprattutto di disciplina.
E allora perché – nonostante questa enorme razionalità – la maggior parte degli artisti cedono ad alcool o droghe, o anche depressione o stati di follia?
Tutto ciò in realtà è un effetto secondario, spesso un “rimedio” necessario all’artista per liberare la mente a volte eccessivamente congestionata dalla razionalità.
Quindi genio e follia? No, da una parte c’è la genialità, dall’altra una perdita di coscienza che è una conseguenza molto comune negli artisti passati, presenti e certamente anche futuri.
Cerchiamo di capire e non condannare. Perché il genio vive perseguitato dagli schemi e a volte – stremato – si libera dal senno. Quando succede ciò egli cede inevitabilmente all’oblio.
Sabrina Casani