La Lega di Salvini ha proposto una legge che vieterebbe l’uso del genere femminile negli atti pubblici. Questa proposta di legge andrebbe quindi a mutilare, nel nome dell’integrità della lingua italiana, ogni sostantivo femminile per descrivere gli incarichi professionali, istituzionali, giuridici e militari nei documenti scritti. Inoltre, la proposta, firmata e presentata dal senatore Manfredi Potenti, prevederebbe anche una multa da 1.000 a 5.000 per tutti coloro che usano termini come, ad esempio, “sindaca” o “avvocata” negli atti pubblici. Grande è l’indignazione delle opposizioni, che hanno denunciato l’evidente discriminazione di genere; inoltre, la proposta di legge non ha né valutato né seguito le raccomandazioni linguistiche dell’Accademia della Crusca.
Obiettivi e motivazioni
Questa iniziativa, presentata tramite proposta di legge una settimana fa in Senato, mira a vietare l’uso del genere femminile negli atti pubblici, in riferimento ai neologismi riferiti ai titoli istituzionali, gradi militari, titoli professionali, onorificenze e incarichi definiti da leggi. Secondo Potenti, è necessario un intervento normativo per limitare quella che definisce un’eccessiva creatività linguistica nei documenti ufficiali delle istituzioni. Inoltre, la Lega ha dichiarato che lo scopo della proposta di legge è quello di
“preservare l’integrità della lingua italiana ed in particolare, evitare l’impropria modificazione dei titoli pubblici dai tentativi simbolici di adattarne la loro definizione alle diverse sensibilità del tempo.”
Sostanzialmente, il documento presentato come “Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere”, nasconde dietro alla “preservazione linguistica” la più becera volontà di annullare il genere femminile negli atti pubblici, discriminando le cariche femminili, e maschilizzando un linguaggio già profondamente dipendente dal dominio dell’uomo. Il ddl prevede inoltre un’eventuale multa per tutti i trasgressori, che andrebbe dai 1.000 ai 5.000 euro.
Dettagli della proposta di legge sul divieto del genere femminile negli atti pubblici
Il disegno di legge che vieta il genere femminile negli atti pubblici vieterebbe dunque la “sperimentazione linguistica”, sottolineando l’importanza di preservare l’integrità della lingua italiana – come se il genere femminile non ne fosse parte integrante. L’articolo 1 del disegno di legge esplicita che l’obiettivo è “preservare la pubblica amministrazione dalle deformazioni letterali derivanti dalla necessità di affermare la parità di genere nei testi pubblici”. Andando avanti e leggendo l’articolo 2 del documento, il genere femminile negli atti pubblici è vietato “per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello Stato, ai gradi militari e ai titoli professionali”.
L’articolo 3 – come riporta Adnkronos – invece si riferisce anche al divieto del “ricorso discrezionale al femminile o sovraesteso o a qualsiasi sperimentazione linguistica”. Inoltre, lo stesso articolo menziona che l’uso linguistico di riferimento deve essere quello del maschile universale, da intendere però in senso neutro e “senza alcuna connotazione sessista”. L’articolo 4 è invece dedicato alle sanzioni, piuttosto salate, per tutti coloro che non rispetteranno la legge.
La proposta del testo di legge e le conseguenti sanzioni pecuniarie sono state giustificate dal senatore Potenti come la volontà che la parità di genere non sfoci in “eccessi non rispettosi delle istituzioni”. Di conseguenza, con il divieto del genere femminile negli atti pubblici, si ricorrerà alla descrizione di titoli come “Sindaco”, “Prefetto”, “Questore” e “Avvocato”, per adattarli alle diverse sensibilità del tempo. Una buona scusa, quella del tempo, per reprimere sempre di più la parità di genere.
Contesto e reazioni
La Commissione europea sostiene il progetto, ma la stessa proposta di legge ha suscitato molte critiche. La declinazione al femminile e l’uso del genere femminile negli atti pubblici, sopratutto in riferimento a molte cariche pubbliche, infatti, è considerata corretta dalla lingua italiana e ha ricevuto il semaforo verde dall’Accademia della Crusca. Per difendersi dalle immediate critiche dell’opposizione, il senatore ha citato in suo aiuto il grande linguista Luca Serianni e l’ex Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, entrambi abbastanza critici per ciò che riguarda l’uso del genere femminile negli atti pubblici.
Il disegno di legge presentato dal senatore Potenti punta ad uniformare l’uso della lingua nei documenti pubblici sotto il dominio maschile, imponendo l’uso del maschile universale e introducendo sanzioni pecuniarie per chi non si conforma a queste nuove disposizioni. Questa proposta, oltre a ledere la parità di genere – ancora molto precaria in Italia – è anche fortemente discriminatorio e limitante per ciò che riguarda l’identità di genere e il diritto all’autodeterminazione di ogni donna e soggettività che non si riconosca nella declinazione maschile.