Palloncini rosa e fiocchetti se è una femmina, palloni da calcio e stendardi blu se è un maschio: ecco qui il tutorial per il vostro gender reveal party. Ma se non fosse solo una festa innocua, ma sottintendesse, nonostante la sua giovinezza, un principio un po’ stantio?
Vi sarete sicuramente imbattuti, ultimamente, in qualche curioso scatto o video in cui un vostro dimenticato compagno di liceo o la vostra influencer del cuore comunica al mondo l’imminente arrivo di un erede. Solitamente, si tratta di contenuti che vengono realizzati durante delle vere e proprie feste, in cui, a un certo momento, i quasi genitori scoppiano palloncini, svelano orsacchiotti, rompono pentolacce o fanno partire dei fumogeni rigorosamente azzurri se l’ecografia ha dato responso “maschio” o zuccherosamente rosa se invece ad arrivare sarà una femmina.
Effetto WOW
Spesso, in questi eventi il vero protagonista è l’effetto sorpresa: nei party più esclusivi i quasi genitori si affidano alle mani esperte di un professionista a cui consegnano il biglietto vergato in grande segretezza dal ginecoloco. Anche loro, infatti, vogliono scoprire il genere del neonato con gli amici e i parenti che invitano alla festa, proprio mentre i palloncini si librano in volo. In altri casi, uno dei due genitori sa già qualcosa, mentre nelle feste più caserecce, il tutto è organizzato a beneficio esclusivo degli invitati.
Ricchi premi e cotillon
Seguono poi lacrime, abbracci e brindisi per la salute della giovane famiglia. Se sarà un maschio, nei giorni successivi ci si precipiterà a comprare qualcosa nelle testosteroniche tonalità del blu. Se, invece, si tratterà di una femmina, allora sarà il caso di scandagliare i bassifondi dei grandi magazzini per costruire un fornitissimo guardaroba rosa.
Ora: se avete inquadrato la situazione, potreste sapere che stiamo parlando dei famigerati gender reveal party. Cercateli su YouTube e vi si aprirà un mondo. No, non sono l’equivalente dei baby shower: questa è una seconda festa, sempre di importazione statunitense, che si svolge verso la fine della gravidanza. Poi ci sarà il battesimo, poi il primo compleanno e via, in un loop di party a tema sempre più instagrammabili e di gruppi Whatsapp sempre più surreali.
Ma, quindi, cosa si festeggia esattamente?
Ora tutto bello e tutto simpatico, ma, un giorno, guardando questi contenuti, potrebbe esservi venuta in mente una domanda: “e quindi?”, avreste potuto chiedervi. “Cos’è che si festeggia, esattamente?”: ed è quello che mi chiedo anche io, da persona che di fronte a una fetta di torta tende comunque a non fare troppe domande.
Al di là infatti della grande gioia che può rappresentare l’arrivo di un figlio per chi nutre questo desiderio, il gender reveal party ha in sè un evidente contraddizione, se confrontato con i messaggi di inclusività e uguaglianza che sentiamo sempre più spesso e verso cui sperabilmente la società si sta orientando.
Festa innocua?
Voler sapere se quello che si porta in grembo sarà un maschio o una femmina credo sia legittimo e, senza voler appesantire a tutti i costi, penso risponda un po’ anche alla naturale curiosità dell’attesa: esattamente come il chiedersi che colore avrà i capelli o come avrà gli occhi il neonato o la neonata. Cosa ci porta però a voler sapere a tutti i costi se il bambino che nasce sarà un maschio o una femmina?
Ehm, questione di organizzazione?
Alcuni potrebbero rispondere: eh, perché ci si deve organizzare con i vestititini, la carrozzina, il colore della cameretta. Si tratta però di argomentazioni un po’ stantie, che riflettono la suddivisione per colori, per mansioni e per profili precisi di cosa potrà essere un maschio e di cosa potrà piacere a una femmina. In una società sempre più fluida, in cui, finalmente, è visto con meno stupore il regalare ai maschi le cucine e gli accessori per fare i mestieri giocando, quali differenze dovrebbero discendere dal fatto che io sappia se avrò una bambina o un bambino?
Binario o non-binario, questo è il problema
Il rosa e l’azzurro, i camion e le Barbie, “sarà un calciatore” e “farà la ballerina”: non sono frasi forse un po’ superate rispetto all’epoca in cui ci troviamo? O c’è davvero ancora qualcuno che pensa che quello a cui si può ambire nella vita è determinato dal contenuto delle proprie mutande? Il retropensiero subdolo potrebbe essere: festeggio il fatto che avrò una bambina, che mi aiuterà in casa, che metterà le gonne, che amerà i fiocchetti, i merletti e i pizzetti? O celebro l’arrivo di un maschio, un vero uomo, da poter svezzare con un po’ di pane e patriarcato? Quello che infatti sottende la logica del gender reveal party è che a genere diverso corrisponderà un’educazione diversa, un’esposizione a modelli differenti, una gamma di sogni ben profilati, a seconda, banalmente della genitalità. Non è un filino retrò come pensiero?
Le critiche al gender reveal party
Da quando è stato inventato negli anni Duemila, questo tipo di festa non è andato esente da critiche, soprattutto dalla comunità transgender e intersex: si tratta di un evento che punta infatti a rafforzare gli stereotipi di genere, perché basato sulle dualità di maschio e femmina come uniche esistenti. La stessa blogger che aveva plasmato il primo gender reveal party, Jenna Myer Karvunidis, oggi si dice dispiaciuta per aver contribuito a remare in direzione ostinata verso il binarismo.
Tra aspettative e stereotipi
Quanto influisce, infatti, la proiezione di ciò che noi ci aspettiamo da un certo genere rispetto alla crescita di un bambino? Stiamo davvero dicendo che, attaccando un fiocco rosa sul portone, il destino della bambina che è nata in quella casa sarà inevitabilmente segnato? Oppure sono solo ritualità e tradizioni che non hanno nulla di male?
La nascita di un figlio è chiaramente un evento che merita di essere festeggiato da chi l’ha tanto desiderato: forse, però, si può celebrare comunque con gioia senza ricorrere a stereotipi che percepiamo come innocui ma che, ancora prima della nascita, proiettano sulla neonata e sul neonato tutte le nostre aspettative come genitori e come società, a seconda del genere a cui lui o lei appartiene. Il rosa e l’azzurro, nella loro apparente irrilevanza, hanno un enorme impatto culturale: ci dicono che la società cisnormativa è, appunto, la norma. Non è forse l’ora, nel 2021, di liberarci di questa zavorra?
Elisa Ghidini