La gender diversity indica una rappresentazione di persone di genere diverso fondata sull’uguaglianza. L’equa rappresentanza maschile e femminile, in ambito societario, è uno degli indicatori di performance utilizzati in ambito Corporate Governance per valutare positivamente una corretta ed efficiente gestione dell’impresa. Oggigiorno, inoltre, è uno dei grandi trend della sostenibilità.
Ne parliamo con Valerio De Molli, Managing Partner e CEO di The European House – Ambrosetti.
Quali sono gli elementi principali che ostacolano la gender diversity?
Il tema della gender diversity è complesso e determinato da una serie di concause, in primis, di matrice socioculturale. Le donne, infatti, sono maggiormente coinvolte nella cura familiare, tanto che, con l’emergenza Covid-19, una madre su cinque sta considerando di abbandonare il proprio lavoro per far fronte alle esigenze domestiche. Non è però solo un aspetto culturale, ma anche di effettiva carenza di servizi.
In Italia, il tasso di partecipazione ai servizi di prima infanzia è del 25,5% rispetto ad una media europea del 32,9% (-7,4 punti percentuali). Un miglioramento dell’offerta di asili nido permetterebbe alle madri di conciliare meglio vita familiare e lavorativa, contribuendo ad una riduzione del gender gap e del tasso di dimissione delle donne.
Anche in materia di congedi, l’Italia si posiziona agli ultimi posti tra i Paesi europei, con un’offerta complessiva di 5 mesi per il congedo di maternità, 1 mese per il congedo parentale e di soli 10 giorni per congedo di paternità. Altri Paesi hanno adottato politiche diverse, come la trasformazione dei congedi di maternità in congedi gender neutral che incoraggiano una più equa suddivisione dei compiti, superando gli stereotipi di genere.
Come mai la rappresentanza femminile nei settori scientifici – e nella Finanza in particolare – è così scarsa?
Si tratta nuovamente di bias socioculturali, che persistono anche nel contesto lavorativo e incidono sulla presenza femminile nei settori tecnico-scientifici.
In psicologia, i bias cognitivi sono pregiudizi non corroborati dalla logica, che portano le persone a valutare fatti e avvenimenti in maniera distorta.
Nel mondo, solo il 28% delle donne lavora nel campo della scienza e dell’ingegneria, contro il 72% degli uomini.
Per quanto riguarda la formazione, in Italia solo il 15% delle donne laureate sceglie percorsi di studio legati a discipline STEM (i.e. scientifico-tecnologiche) tra gli ambiti a maggiore crescita occupazionale.
Persino nei Paesi con i migliori risultati, ci sono notevoli differenze di genere per quanto riguarda le conoscenze finanziarie: secondo i dati OECD, in Italia solo il 30% delle donne possiede una cultura finanziaria di base determinando lacune nella capacità di risparmiare denaro, investire risorse e fissare obiettivi. Tutte cose che incidono sull’indipendenza finanziaria delle donne e sul loro benessere a lungo termine.
Per questi motivi, la promozione di una maggiore partecipazione femminile alle discipline STEM, è uno dei dieci principi chiave del “Manifesto sull’empowerment femminile” elaborato da The European House – Ambrosetti con il supporto di un Business Advisory Board internazionale e del Club Ambrosetti. Il Manifesto è già stato firmato già da molti capi azienda e i suoi 10 principi sono gli elementi che, dal nostro punto di vista, devono essere posti al centro delle strategie di sviluppo di istituzioni e imprese al fine di raggiungere la parità di genere e liberare l’energia delle donne in tutti i Paesi.
L’Equal Pay, ancora oggi, è un miraggio o è stato raggiunto in alcuni Paesi?
L’Italia è, in realtà, tra i Paesi meno colpiti dal gender wage gap orario: la differenza nella retribuzione oraria tra uomini e donne vale 5,6 punti percentuali, rispetto ad altri Paesi, come il Regno Unito e la Germania, dove ammonta rispettivamente a 16 e 15,3 punti percentuali.
Nonostante presenti un gender wage gap orario tra i più bassi in Europa, l’Italia mostra un gender gap pensionistico tra i più elevati, a causa delle minori ore lavorate dalle donne: il rapporto è di 0,82 ore lavorate da una donna per ogni ora di lavoro di un uomo.
Il gender wage gap non tiene conto del fatto che le donne lavorano meno sia in termini di effettiva partecipazione al mercato del lavoro, sia in termini di ore lavorate. Questo fa sì che le donne guadagnino meno in valore assoluto e quindi accumulino meno contributi nel corso della propria vita, portando a un beneficio pensionistico di 31,9 punti percentuali inferiore a quello degli uomini.
Qual è il plus valore che la gender diversity e la leadership femminile possono portare alle aziende?
L’eterogeneità di punti di vista e opinioni è sempre un elemento che genera valore aggiunto e ricchezza.
Anche a livello aziendale, una maggiore rappresentanza femminile nella leadership delle imprese può offrire un contributo in termini di ampiezza e completezza della visione strategica, inclusione e capacità di lettura delle tendenze evolutive del contesto di riferimento.
Più in generale, un’azienda che non valorizza adeguatamente la gender diversity, stimolando la partecipazione femminile a qualsiasi livello manageriale e operativo, perde la possibilità di sfruttare il 50% delle idee e del talento della popolazione.
In qualità di unica società privata esterna, chiamata a presentare alla conferenza ministeriale del G20 sul women empowerment del 26 agosto 2021, tenutasi a Santa Margerita Ligure, The European House – Ambrosetti è più che mai convinta della necessità di un cambio di paradigma epocale. Bisogna guardare al tema non soltanto da una prospettiva etica, ma anche in modo più pragmatico come a un’opportunità economica di rilancio.
Secondo il modello da noi messo a punto, l’eliminazione del gender pay gap e l’aumento del tasso di occupazione femminile – fino ad eguagliare quello maschile – potrà generare un valore economico pari a 9 trilioni di dollari nei Paesi G20 (circa 12% del PIL totale) di cui 110 miliardi di euro solo per l’Italia (6,7% del PIL). Si tratta di un’opportunità di crescita che, in questa fase, non possiamo certamente permetterci di perdere.
Giulia De Vendictis