Rocco Greco, un imprenditore di Gela il coraggio lo aveva avuto. Il coraggio di denunciare i suoi estorsori, ovvero alcuni appartenenti alla associazione mafiosa di Cosa nostra. L’uomo era anche riuscito a convincere altri sette imprenditori a ribellarsi e a denunciare. Undici furono gli arresti grazie al coraggio di questi onesti lavoratori, che portarono a condanne pari a 134 anni di carcere.
Gli estorsori hanno però denunciato a loro volta Greco che, a quel punto, nonostante l’assoluzione si è trovato in un circolo vizioso di burocrazie. Un sistema, quello in cui galleggiava l’imprenditore di Gela, che ha portato l’uomo a scegliere di togliersi la vita poiché impossibilitato a lavorare.
La Prefettura infatti, nonostante l’assoluzione, aveva precedentemente imposto all’azienda di Greco l’interdittiva, ovvero l’impossibilità di continuare con la sua attività . Questo provvedimento ha fatto sì che la sua ditta, la Cosiam perdesse tutti gli appalti non essendo di fatto iscritta alla white list, la lista bianca, iscrizione necessaria per partecipare ad appalti pubblici. 50 operai sono stati licenziati.
Parla il figlio dell’imprenditore di Gela: ‘Una storia paradossale’
Nonostante la sentenza fosse stata chiara e scagionasse l’imprenditore da qualsiasi ‘partnership’ con la mafia, la Struttura di missione antimafia aveva scritto parole forti, come riportato su La Repubblica: “Nel corso degli anni ha avuto atteggiamenti di supina condiscendenza nei confronti di esponenti di spicco della criminalità organizzata gelese”.
“Mio padre è finito dentro una storia paradossale” racconta Francesco, il figlio. La denuncia stessa di Greco dovrebbe essere, infatti, chiara testimonianza che aveva scelto di non essere più vittima di quell’organizzazione. L’imprenditore aveva scelto di combattere il sistema ricattatorio che era in vigore a Gela. Ma laddove non è riuscita la Mafia, è arrivata, spietata, la burocrazia del nostro paese. L’uomo ha scelto di suicidarsi per permettere ai suoi figli di continuare a lavorare. Con un colpo di pistola si è ucciso all’interno della sua ditta. Non lo ha ucciso la Mafia, ma lo Stato, dice il figlio.
Marta Migliardi