A seguito dei continui raid che colpiscono la striscia da nord a sud, l’ufficio stampa del Governo di Gaza ha denunciato che: “anche l’ultimo ospedale del nord, il Kamal Adwan, è stato costretto a cessare le attività di soccorso alla popolazione civile”
La guerra a Gaza non accenna a fermarsi
Continua l’assedio, continua la guerra e continuano le atrocità a Gaza, i crimini di guerra si susseguono e il piano di pulizia etnica della striscia procede indisturbato.
Come abbiamo imparato in questi mesi l’obbiettivo dei bombardamenti non è unicamente quello di eliminare i combattenti di Hamas, come dichiarano da Benjamin Netanyahu e i membri del suo governo. È ormai evidente la volontà israeliana di rendere Gaza un luogo inabitabile, così da costringere quante più palestinesi possibili ad abbandonare la propria terra, senza possibilità di ritorno.
Una nuova Nakba, più lunga, possibilmente più letale, ma soprattutto organizzata in maniera da non ripetere gli errori del passato.
Questa sta avvenendo sotto gli occhi del mondo e della Comunità Internazionale e nessuno sembra volere o essere in grado di fermare questa carneficina. La strategia comprende l’allontanamento dei giornalisti stranieri dai luoghi delle stragi, ricordiamo l’intera Gaza è area vietata alla stampa internazionale, la demolizione sistematica del sistema sanitario e delle infrastrutture civili, l’utilizzo della fame come arma contro la popolazione, e la deumanizzazione dei palestinesi, per rendere il loro sterminio meno impattatene sulle opinioni pubbliche.
Ad un solo giorno dalle elezioni negli Stati Uniti non ci resta che attendere per scoprire chi sarà il nuovo presidente, dopodiché bisognerà aspettare ancora, sino al giorno dell’insediamento, lunedì 20 gennaio 2025. Dopo questa data molto probabilmente le cose potrebbero peggiorare ulteriormente o nel migliore dei casi si assisterebbe ad una politica che ricalcherà quella dell’amministarazione Biden, ovvero una collaborazione strategica che rende gli Stati Uniti complici di crimini di guerra e contro l’umanità.
Le cause della chiusura dell’ospedale Kamal Adwan
Il piano israeliano di pulizia etnica a Gaza ha avuto inizio nel nord. Nella pratica l’intera area è stata posta sotto controllo militare. La popolazione è stata esortata ad abbandonare il nord, anche se questo risulta in molti casi impossibile per i civili che non sanno dove andare.
Da un mese l’assedio militare imposto nel nord impedisce ai convogli umanitari di raggiungere la parte settentrionale di Gaza . Questo include cibo, acqua, forniture sanitarie e medicinali salva vita. La volontà di rendere il nord inabitabile è evidente; chi non andrà via sarà costretto a decidere se morire di stenti o per via dei bombardamenti che continuano senza tregua da più di un anno.
L’ospedale Kamal Adwan, situato nei pressi di Beit Lahia, non lontano dal campo profughi di Jabaliya era l’ultimo operativo nel nord, nonostante sia sotto assedio da inizio ottobre. Era già finito sotto i colpi dell’artiglieria israeliana a dicembre 2023 e nel maggio 2024. A dicembre le IDF sono penetrate nella struttura arrestando oltre 70 persone tra medici e infermieri. L’assedio ha lasciato la struttura senza elettricità o acqua per 5 giorni, prima che i bulldozer israeliani entrassero in azione demolendo intere alee della struttura. Il copione si è ripetuto dal 24 al 31 maggio con un nuovo assedio che ha visto le IDF distruggere i generatori di riserva della clinica.
La chiusura dell’ospedale Kamal Adwan non dovrebbe sorprendere nessuno; innanzitutto perché è parte del piano israeliano di pulizia etnica e in secondo luogo perché le notizie relative alle operazioni militari dedite a forzarne la chiusura si susseguono da inizio ottobre.
L’8 ottobre l’esercito israeliano aveva ordinato la completa evacuazione della struttura e fu compito del suo direttore Dr Hossam Abu Safia educare i militari sull’impossibilità di tale operazione. Al Kamal Adwan diversi pazienti erano impossibilitati a muoversi e l’ala dei neonati ancora in terapia intensiva a seguito del parto. La minaccia di “fare la fine dell’ospedale al Shifa” e di “rischi per la sicurezza di tutti i palestinesi nella struttura” erano allora state ignorate dal Dr Hossam Abu Safia, che aveva preferito continuare a salvare vite.
La vendetta per l’affronto subito è arrivata il 25 ottobre. Video di quel giorno mostrano la struttura mentre viene colpita dai carri armati israeliani, l’ospedale Kamal Adwan viene incendiato e l’ingresso distrutto assieme a 4 ambulanze, tutto il personale di sesso maschile arrestato, il tutto mentre oltre 600 pazienti sono rimasti all’interno della struttura. Uno dei medici, Dr. Khalil Daqran ha dichiarato che solo un medico è stato lasciato libero di svolgere il proprio lavoro, dovendosi occupare di tutti i pazienti.
L’organizzazione Mondiale per la Sanità ha perso più volte contatto con la struttura durante l’intervento israeliano, cosi come Medici Senza Frontiere che hanno comunicato di aver perso i contatti con il loro interlocutore all’interno dell’ospedale Kamal Adwan.
Il colpo finale
Pochi giorni dopo la struttura è stata nuovamente stata bersaglio di un bombardamento che ha distrutto un container di stoccaggio dei medicinali. Raid condotto senza preavviso e con l’obbiettivo di distruggere medicinali in una zona di guerra e durante uno degli assedi più sanguinosi della storia recente.
Risale invece al 3 novembre la notizia dell’ultimo raid, compiuto dalle IDF con la scusa di voler stanare i miliziani di Hamas che sarebbero penetrati nuovamente nella struttura, questo sarà l’ultimo in quanto le autorità di Gaza hanno dichiarato che l’ospedale Kamal Adwan cesserà le sue attività. Missione compiuta quindi per le IDF.
In un contesto bellico che ha visto la morte di più di 1800 persone nel solo mese di ottobre la popolazione civile nel nord di Gaza non può essere curata e si vede cosetta ad un viaggio semi impossibile, sotto i bombardamenti, per raggiungere la prima struttura sanitaria funzionante.
Questo è inaccettabile, denuncia l’OMS e con essa tutte le ONG che monitorano la situazione a Gaza. Il diritto di Israele di “difendersi” non deve ostacolare il diritto dei palestinesi di rimanere in vita.