È da ormai più di 24 ore che continuano gli attacchi israeliani sulla Striscia di Gaza. Mentre il bilancio dei morti e dei feriti aumenta, la Casa Bianca chiede in via ufficiale una de-escalation da entrambe le parti.
I fatti finora
Continuano a susseguirsi i raid militari israeliani nella Striscia di Gaza. Iniziati nella notte tra l’8 e il 9 maggio, gli attacchi registrati finora sono aumentati e non sembrano cessare. Il bilancio totale dei morti è arrivato finora a 20: oltre ai tre comandanti delle brigate al-Quds della Jihad Islamico Palestinese e alle loro mogli e figli, sono stati coinvolti diversi civili. I feriti sono oltre i 40.
Successivamente ai primi attacchi è stato proclamato lo stato d’allerta da parte d’Israele nelle zone di Ashkelon e Sderot. Si tratta di due zone situate al confine con la Striscia di Gaza, il cui traffico stradale e ferroviario è stato chiuso nel timore di una risposta missilistica da parte della Jihad.
In uno degli ultimi attacchi, secondo la testimonianza dell’agenzia di stampa palestinese “Wafa”, delle schegge hanno colpito due contadini che non avevano niente a che vedere con gli obbiettivi dell’esercito israeliano. Uno dei due è stato ucciso, l’altro gravemente ferito. Le forze militari israeliane hanno però poi affermato che si trattava di “terroristi operativi che stavano lavorando a un sito di lancio“. Un altro attacco invece ha colpito due miliziani di Abu Ali Mustafa, ovvero la sezione militare del Fronte popolare per la liberazione della Palestina.
La Casa Bianca chiede ufficialmente una de-escalation
Dopo aver seguito quanto accaduto nelle ultime ore, la Casa Bianca ha deciso quindi di intervenire tramite una dichiarazione pubblica, chiedendo “una de-escalation da entrambe le parti”. Ha poi però aggiunto che Israele ha diritto a difendersi da attacchi missilistici.
Una tale risposta suggerisce una chiara presa di posizione da parte di Washington. Se da un lato infatti sono da sottolineare i rapporti commerciali e militari che da anni vengono coltivati tra Stati Uniti e Israele, dall’altro c’è anche da considerare che la Jihad palestinese è riconosciuta fra le organizzazioni sospette di terrorismo sia da Israele sia dagli Stati Uniti (insieme a Unione Europea, Regno Unito, Giappone e Canada).
La risposta dalla Striscia di Gaza
Nelle ultime ore inoltre, dopo la richiesta della Casa Bianca di una de-escalation, si è concretizzata la risposta da parte della Jihad. Dopo aver fatto suonare le sirene di avvertimento nell’area di Tel Aviv (in particolare a Ramat Gan, a Givataym e in altre zone periferiche della città), secondo la televisione pubblica israeliana “Kan” sono stati lanciati ben 100 razzi nell’arco di un’ora. La maggior parte sono caduti nel raggio di 40 chilometri dal confine con la Striscia di Gaza, ma alcuni hanno raggiunto zone più centrali del Paese. Alla luce di quanto accaduto, il primo ministro Benyamin Netanyahu ha annunciato pubblicamente che Israele è pronta ad allargare l’operazione corrente ed infliggere ingenti danni a Gaza in futuro.
Le manifestazioni di marzo
Sono quindi già diventate un lontano ricordo le manifestazioni che avevano cercato di mettere in discussione l’operato di Netanyahu. Pochi giorni dopo il suo ultimo insediamento avvenuto a dicembre 2022, il premier israeliano aveva cercato di promuovere una riforma secondo la quale sarebbe stato significativamente ridimensionato il potere di veto alle proposte di legge da parte della Corte Suprema, unico organo statale in grado di fare da contrappeso al potere in carica. L’obbiettivo, secondo molti, era quello di accentrare il potere nell’esecutivo togliendo gli ostacoli istituzionali all’approvazione delle leggi da parte delle forze di governo.
Nonostante questa fosse la causa scatenante che ha portato a un’ampissima mobilitazione (tra le più grandi nella storia del Paese), le questioni portate in piazza furono diverse. Tra i partecipanti, infatti, vi erano gruppi femministi, ambientalisti e a favore dei diritti per le comunità LGBTQ+, ma anche gruppi che lottano contro l’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele. La presenza di questi ultimi ha contribuito, per un breve periodo, quindi ad alimentare la speranza di un cambio di rotta nel conflitto israelo-palestinese.
Rischio di un aumento della violenza
La situazione attuale invece evidenzia un andamento opposto a quello sperato, con il rischio di un aumento degli atti violenti su entrambi i fronti. Come già ben evidenziato dal bilancio dei morti e dei feriti durante gli attacchi degli ultimi due giorni, le principali vittime in questo tipo di scontri militari sono civili, tra cui anche molto spesso donne e bambini.
Mattia Tamberi