Israele rappresenta una speranza per i tanti gay palestinesi che fuggono dalle minacce di morte.
La comunità LGBT israeliana combatte da anni col Governo per far ottenere loro lo status di rifugiato.
In Israele, i gay palestinesi vivono nella clandestinità, sospese in un limbo tra il doloroso ricordo della famiglia che li ha ripudiati e la speranza di una nuova vita nello stato ebraico. I dati ufficiali parlano di 150 persone, in realtà sono molti di più. Sono arrivati nei modi più disparati. La maggior parte attraversa il confine a piedi. Altri ancora ottenendo un visto temporaneo e mai più rinnovato.
Israele LGBT friendly
Israele è il paese mediorientale più progressista, dove i diritti LGBT sono riconosciuti, rispettati e celebrati liberamente. In quello che è storicamente lo stato-nemico, i gay fuggiti dai territori palestinesi vengono aiutati da diverse Ong.
Tra queste c’è l’Agudà, che racchiude tutte le organizzazioni Lgbtq, ed Hias, la storica associazione ebraica per l’assistenza dei rifugiati. Entrambe, con l’assistenza delle Nazioni Unite, assistono i ragazzi per ottenere il permesso di soggiorno temporaneo, valido per sei mesi e rinnovabile tramite colloquio.
Il problema è che questo pezzo di carta non permette né di lavorare né di avere la copertura sanitaria.
La destra israeliana è irremovibile sul concedere loro più di questo, per i soliti problemi di sicurezza. Spesso quindi l’obiettivo delle associazioni è quello di trovare un altro Paese che li ospiti. Purtroppo le procedure di trasferimento per ragioni umanitarie sono complesse e possono durare anni. Finora sono stati pochissimi i casi andati a buon fine.
Pur non essendo un reato perseguibile, in Palestina l’omosessualità non è tollerata. Chi fa coming out viene cacciato di casa dalla famiglia. Oppure segnalato alla polizia che si inventa una scusa per metterli in prigione, accusandoli di prostituzione o alto tradimento. Una volta dentro i gay sono a rischio tortura, stupro e omicidio. L’unica associazione LGBT palestinese, Al Qaws, è stata smantellata l’anno scorso dalla polizia in Cisgiordania.
Gloria Cadeddu
Accoglierli è già tanto. un arabopalestinese potrebbe fingersi gay per compiere attentati. Occorrerebbe un visto speciale per il lavoro.
(Peccato però che nel resto del mondo i gay siano odiatori professionali di Israele)