Dall’inizio del conflitto siriano, migliaia di rifugiati si sono trovati costretti ad abbandonare tutto per partire. C’è qualcuno però che ha deciso di restare, e salvare delle vite: il Gattaro di Aleppo.
L’espressione nel titolo “il Gattaro di Aleppo” forse richiama alla mente quella figura iconica della “gattara”, che facilmente immaginiamo così:
La gattara, o più raramente il gattaro, è una persona che dedica parte del proprio tempo all’assistenza dei gatti randagi, ospiti dei gattili o territoriali delle colonie feline. Si tratta pressoché sempre di una donna.
La figura della gattara è un personaggio folcloristico e stereotipato, non di rado connotato in negativo. […] Lo stereotipo della gattara risente dell’associazione tra il gatto e la strega, e dipinge la donna che se ne occupa come una vecchia sola (spesso zitella), scontrosa, sporca, brutta e tipicamente povera, talvolta perfino alcolista. [da Wikipedia]
Già parecchie volte l’abbiamo vista dipinta in documentari, servizi tv, opere letterarie, in cui i felini anziché tutelati e protetti, finiscono per essere le vittime dei loro stessi amanti: accumulati, ammassati, accuditi con cura maniacale che tuttavia degenera – del tutto fuori controllo – quasi in un’ossessione; certo, è l’estremizzazione della figura del “gattaro“, eppure va da sé che l’immagine che generalmente associamo a questa figura, non è delle migliori...
Diverso però è il caso di Mohammad Alaa Al-Jaleel, Alaa per gli amici, ma più noto come il Gattaro di Aleppo. Quest’uomo – che un tempo guidava ambulanze, e salvava persone nella città siriana oggi abbruttita dalla guerra – ha fatto invece della cura e della salvaguardia di questi animali, il proprio mestiere. La sua missione.
Tutto ha inizio nel 2012, all’alba del conflitto siriano: il Gattaro di Aleppo inizia a prendersi cura dei gatti feriti e abbandonati che incontra per strada. Nel 2015, inizia a cercarli: per curarli.
Prima erano una ventina, poi sono diventati 40, e dopo un anno erano 100. Sembrerebbe proprio l’inizio di una di quelle storie da “caso clinico” di accumulo compulsivo: sì esatto, proprio accumulo compulsivo di gatti.
Ma appunto, non nel caso di Alaa: lui li salva, per portarli con sé al “Santuario”, o “Casa dei Gatti Ernesto”. Ernesto è il nome del gatto che Alaa aveva con sé prima di dover lasciare temporaneamente la Siria – come del resto migliaia di altri rifugiati – e che oggi non c’è più, ucciso durante uno degli incessanti bombardamenti.
Infatti, nemmeno il Santuario – per definizione luogo sacro, mai profanato – è stato risparmiato dalla guerra: nel 2016 viene bombardato, causando la morte di decine fra i suoi “protetti”. Alaa stesso si trova costretto a scappare – la violenza, il pericolo ad opera degli esseri umani si intensificano – per poi scegliere però di tornare.
Le macerie coprono ormai l’ex-Santuario, i suoi ospiti si contano quasi tutti fra le vittime, oppure fra i dispersi: il Gattaro di Aleppo allora individua un nuovo luogo, riapre il suo rifugio, e ricomincia a salvare i gatti. Qualche vecchio muso riemerge persino dai detriti abbandonati: è il caso di Honey, che apparentemente riconosce l’umano amico, e con lui si ricongiunge.
Qual è la sorte che riserveremmo ai nostri compagni a quattro zampe – cani, gatti, ma in generale animali domestici e non – se ci trovassimo improvvisamente costretti ad abbandonare le nostre case, lasciandoci alle spalle quasi tutti i nostri beni, le nostre famiglie addirittura, sotto cumuli di macerie? Talvolta, è persino il nostro stesso paese, la nostra terra a svanire in lontananza.
È il destino toccato a migliaia di cani e di gatti, dall’inizio del conflitto siriano nel 2012. È chiaro che le famiglie che li hanno “abbandonati” non sono da biasimare: nessun’altra scelta è stata loro concessa, se non quella di fuggire per rifugiarsi dagli orrori della guerra che si stava prospettando. Tuttavia:
“Quando la gente è partita, i gatti hanno iniziato a venire da me”
– racconta Mohammad Alaa Al-Jaleel, il Gattaro di Aleppo.
La sua fama, la sua dedizione sono tali, che qualcuno sceglie addirittura di affidare a lui in persona il proprio gatto, con la certezza che solo in questo modo, potrà lasciarlo in mani sicure.
La città sotto assedio: il Gattaro di Aleppo offre un rifugio per tutti, abitanti compresi
Aleppo – detta “capitale del Nord” della Siria, mentre Damasco è quella ufficiale – avrebbe probabilmente raggiunto i due milioni di abitanti (stimati 1,9 milioni nel 2009), se a migliaia non avessero iniziato ad abbandonarla a causa degli scontri.
Aleppo, patrimonio mondiale dell’UNESCO a partire dal 1986, e “capitale culturale del mondo islamico” dal 2006, da 7 anni ormai si trova sotto assedio, divisa a metà fra il governo e i ribelli.
E sempre ad Aleppo, Alaa ha scelto di restare e fondare il suo “Santuario”: per quelli che sono stati lasciati indietro nella fuga, ma anche per i randagi raccolti per strada. Il Gattaro di Aleppo cerca di salvarli tutti:
“Chi ha pietà nel suo cuore per le persone, ha pietà per ciascun essere vivente.”
Soprattutto, il Santuario è diventato ormai un luogo-simbolo di speranza, un tocco di spensieratezza nel ritratto degli orrori della guerra, anche per quei bambini e le loro famiglie che non sono riusciti ad andarsene dal paese. Grazie alle donazioni, oggi ospita anche il “Ristorante Ernesto” che sfama centinaia di gatti e altri animali, una clinica veterinaria, e in futuro c’è il progetto di aprire un parco e un orfanotrofio. Capita ancora che davanti ai cancelli della Casa, qualcuno lasci uno scatolone con dei cuccioli, oppure che una micia partorisca: sulla pagina Facebook leggiamo che i felini a questo punto sfiorano i 400, a cui si sommano cani, scimmie, conigli e un cavallo arabo… Ma Alaa e il suo team non si accontentano, e sono pronti ad accoglierne ancora.
Alice Tarditi