Per le IDF e l’ex titolare del ministero della Difesa non c’è alcun motivo per protrarre la presenza israeliana a Gaza. Le ragioni che alimentano il conflitto sono politiche e legate al mantenimento al potere di Netanyahu che pur di rimanervi aggrappato è disposto a sacrificare le vite degli ostaggi israeliani, dei civili palestinesi e fare terra bruciata attorno a sé
Le dichiarazioni di Gallant a seguito del licenziamento
Il licenziamento di Yoav Gallant ha scatenato un prevedibile terremoto politico in Israele. Il ministro è finito nel mirino di Benjamin Netanyahu per essersi opposto alla linea di governo che favorisce sia le frange più estremiste del governo di Tel Aviv sia la sopravvivenza politica dello stesso Netanyahu.
Le dichiarazioni seguite all’allontanamento del ministro della Difesa hanno dell’incredibile e riguardano direttamente sia il conflitto in corso sia le posizioni di Netanyahu su diverse questioni sensibili.
Gallant è stato più volte l’interlocutore del governo con le famiglie degli ostaggi, che a seguito del suo licenziamento hanno interrogato l’ex ministro sulle possibilità per raggiungere un accordo sulla liberazione, quesiti a cui Gallant ha risposto:
“Un accordo sugli ostaggi non è né militare né politico, Benyamin Netanyahu è l’unico a decidere su qualsiasi potenziale accordo”
Interrogato sulle sorti del conflitto in corso a Gaza ha dichiarato:
“Le IDF hanno raggiunto tutti i loro obiettivi nella Striscia, non vi è alcuna ragione per non raggiungere un cessate il fuoco”
Cariche vacanti
Per sostituire Gallant Netanyahu ha optato per una redistribuzione delle cariche invitando il ministro degli Esteri Israel Katz a intestarsi l’ufficio alla Difesa, nonostante la sua limitata competenza in questo settore. Katz, anche lui membro del Likud e quindi vicino al Primo Ministro, vanta competenze nel settore dei trasporti e della finanza ma manca di esperienza militare diretta. La sua nomina è letta quindi più come vassallaggio che meritocrazia. Al suo posto, al ministero degli Esteri, sarà eletto Gideon Sa’ar, leader del partito Nuova Speranza che fino a poche settimane fa sedeva all’opposizione.
La scelta di deporre il Ministro della Difesa nel mezzo del più lungo e cruento conflitto mai combattuto da Israele è stata definita scellerata da più parti. Non segue nessun tipo di logica o di strategia militare né tantomeno politica e accentuerà le divisioni interne alla società civile. A settembre il quotidiano israeliano The Time of Israel che rientra nei media centristi e vicini alla linea di governo titolava:
“Netanyahu, non licenziare Gallant di nuovo: la prima volta è stato un disastro, la seconda potrebbe essere peggio”
Il tanto osannato diritto di Israele a difendersi è infine messo in discussione dal Primo Ministro stesso. Netanyahu è disposto a sacrificare la competenza necessaria per ricoprire un ruolo così delicato, in un paese in guerra dal giorno stesso della sua fondazione, pur di mantenere attorno a sé solo fedelissimi. Fu proprio l’approccio di grande importanza al tema della difesa ad avvicinare l’allora generale e comandante delle IDF Yoav Gallant al partito di Netanyahu e ad avvicinarlo alla politica fino al suo ingresso alla Knesset del 2019.
L’assurdità di questa decisione è evidenziata dalla delicatezza del momento storico. Israele combatte con una moltitudine di nemici su diversi fronti, da Gaza al Libano all’Iran, il paese è minacciato dagli Huthi in Yemen, dalle milizie filoiraniane irachene e siriane e la tensione non fa che aumentare. L’irresponsabilità di Netanyahu potrebbe costare carissima a Tel Aviv.
Le ragioni degli attriti tra i due politici
Netanyahu aspettava da tempo di poter destituire il ministro, membro del suo stesso partito, il Likud, che aveva osato più volte contestare il suo volere e minare la sua autorità pubblicamente.
L’antagonismo tra Gallant e Netanyahu ha inizio prima dello scoppio della Guerra. Gallant era già stato licenziato a fine marzo 2023, anche se questa mossa non fu in fine formalizzata. Il motivo del dissenso con Netanyahu era l’allora discussione sulla riforma della giustizia, tanto voluta dal primo ministro, che aveva fortemente polarizzato la politica israeliana.
La colpa di Gallant è stata di essersi speso a favore di una sospensione della riforma contestata. L’ex Ministro aveva persino paventato la possibilità di voler istituire una commissione d’inchiesta indipendente per investigare cause e responsabilità del fallimento del 7 ottobre. Questa scelta avrebbe comportato inevitabilmente il coinvolgimento sia di Netanyahu sia del titolare del ministero della difesa all’epoca, ovvero Gallant stesso, che in questa occasione aveva dichiarato:
“Sono stato responsabile dell’apparato di sicurezza negli ultimi due anni, dei suoi successi e dei suoi fallimenti, dei suoi momenti di dolore. Solo la chiarezza e la ricerca della verità ci permetteranno di imparare dai nostri errori per costruire la forza necessaria ad affrontare le sfide del futuro.”
Yoav Gallant che era arrivato a definire i Palestinesi “animali” era considerato uno tra i personaggi più moderati all’interno del governo. È stato tra i pochi a interessarsi davvero al ritorno degli ostaggi ancora in mano ad Hamas. Gallant ha inoltre contestato la visione propagandistica della vittoria totale su Hamas, promossa da Netanyahu per alimentare il conflitto e ritardare la sua personale resa dei conti con la giustizia.
Da mesi le operazioni a Gaza sono condotto solo con questo scopo. Hamas non può essere eradicata da Gaza in quanto esiste su diversi piani: politico, ideologico, militare, sociale e statale. La sua leadership è stata decapitata e i suoi miliziani decimati, ma l’organizzazione prevede che tutto questo possa accadere dai tempi della sua fondazione. Ogni segmento della sua struttura è indipendente e capace di operare e riorganizzarsi in autonomia. Inoltre, il supporto di cui gode è alimentato da decenni di soprusi e odio verso l’occupante, risentimento che sopravvivrà e sarà rafforzato a seguito di questo conflitto.
Gallant ha una profonda consapevolezza di queste dinamiche, per questo è conscio che continuare questo massacro indiscriminato sarà solo nocivo per la sicurezza di Israele sul lungo periodo e controproducente da un punto di vista di immagine e alleanze all’estero.
Vittoria di Trump e prospettive in Medio Oriente
A questo si aggiunge la vittoria di Donald Trump e la sua elezione a 47° presidente degli Stati Uniti. Anche questo evento sarà funzionale a garantire carta bianca a Netanyahu nella sua fuga da responsabilità e conseguenze per la gestione della sicurezza il 7 ottobre e del conflitto che ne è seguito.
Nel breve periodo, sino al 20 gennaio, questa libertà sarà davvero senza condizioni. Le restrizioni imposte dall’amministarazione Biden sono state ignorate la maggior parte delle volte se non in relazione all’Iran. Israele potrebbe decidere di alzare ulteriormente la posta in gioco sfidando apertamente gli Ayatollah, consapevole di poter contare sul supporto americano e sull’antagonismo di Trump al regime di Teheran.
La strategia di Netanyahu dovrà anche fare i conti con l’imprevedibilità e l’irrazionalità di un amministarazione americana sempre meno interessata a giocare un ruolo strategico per conto d’altri. Un presidente isolazionista poco incline a condividere decisioni e potere con gli storici alleati, realtà con cui dovrà fare i conti da vicino anche l’Europa.