Fidarsi dello Stato non è così semplice. “Lo Stato è costituito da persone, non da elementi astratti”: sono le parole di Gianluca Prestigiacomo che, vent’anni dopo il tragico G8 di Genova e la morte di Carlo Giuliani, torna ad analizzare quelle ore di inferno e i due decenni di trame intricate e confuse per l’accertamento delle responsabilità. Lo fa con “G8. Genova 2001. Storia di un disastro annunciato”, il suo nuovo libro edito da Chiarelettere.
Rimasi impietrito. Non ci si riconosceva più. Tutti contro tutti.
Ci sono giorni in cui è più difficile avere fiducia nell’idea di Stato. Sono state le settimane in cui la campagna vaccinale sembrava non decollare. O anche le mattine in cui, accendendo la tv, abbiamo sentito parlare di una nuova inchiesta su questo o quell’affare sospetto. O, ancora, i giorni in cui le parole “giustizia” e “Giulio Regeni” sembrano separate da un muro invalicabile. I momenti in cui crolla un ponte o cade una funivia. Se tra le 366 combinazioni previste dal nostro calendario, però, dovessimo decidere di istituire una giornata della sfiducia nei confronti dello Stato, forse, la nostra scelta potrebbe cadere sul 20 luglio.
L’inizio della fine: il G8 di Genova
Il 20 luglio è una data incompleta e di difficile comprensione se non vi si pone accanto il 2001, l’anno in cui quel 20 luglio ha cambiato la storia di molti. Un tempo che ha anche un luogo, che corrisponde alla città di Genova. Proprio nel capoluogo ligure, tra il 19 luglio e il 22 luglio 2001 si svolge il summit del G8.
È Gianluca Prestigiacomo, che ha vissuto i fatti di Genova da agente della Digos a fornire un’interpretazione chiara. Di cosa? Della polveriera su cui la città di Genova è seduta nelle ore precedenti al G8: all’interno di un mondo che sta girando vorticosamente, Genova è un puntino minuscolo, in cui i grandi della Terra decidono di ritrovarsi per parlare di economia e politica, ospiti del Bel Paese e del governo Berlusconi. La scelta del luogo dell’incontro, però, non mette subito d’accordo tutti: in città sono già molto animate le proteste e la topografia dei Caruggi è forse poco indicata come palco di un evento del genere. Non è la prima volta che le proteste esplodono e diventano difficili da gestire: è già successo a Seattle nel 1999 e a Davos all’inizio del 2001, poi ancora a Napoli e a Göteborg.
Ma cosa vogliono i manifestanti?
In generale si tratta di proteste che criticano il G8 di Genova, come gestione oligarchica e plutocratica dell’economia mondiale: voce del dissenso è il Genoa Social Forum, unito ai movimenti no-global, ma anche alle associazioni pacifiste e ai cittadini non affiliati a movimenti particolari. Ci sono anche le Tute Bianche, di Luca Cesarini, espressione del Laboratorio di Disobbedienza sociale con la Rete del Sud Ribelle di Napoli, la Rete Rage di Roma e molti militanti dei Giovani Comunisti. In questo contesto di dissenso pacifico, particolarmente aggressiva promette di essere la contestazione violenta dei Black bloc, che arrivano anche dall’estero: mentre da una parte i genovesi vengono rassicurati dai politici e alla tv, le forze dell’ordine iniziano a installare le grate di delimitazione della cosiddetta “zona rossa”, chiudendo i tombini per paura che qualcuno decida di infilarci dell’esplosivo.
La mattina del 20 luglio 2001
Prestigiacomo e colleghi, sono lì: attori e testimoni del G8 di Genova e di quello che poi si ripeterà per anni nelle aule dei processi. Attraverso i paragrafi, si intuisce l’idea di un’atmosfera sospesa, di un magma che borbotta, per il momento ancora sotterraneo. Le ore passano e si arriva alla mattina del 20 luglio, quando il corteo delle Tute bianche inizia a formarsi. Ma, in pochi minuti, scoppia il caos: i gruppi di Black Bloc si aggirano fulminei per la città, armati fino ai denti e pronti a distruggere le vetrine del centro a colpi di mazza e di utilizzare un trattamento simile per le Tute Bianche. Inizia la confusione: Cobas scambiati per Black Bloc, i manifestanti presi per anarchici, i pacifisti colpiti come se fossero i violenti.
In un paio di minuti, la violenza e il dissenso pacifico si mischiano, i Carabinieri partono e caricano i manifestanti, scoppia il panico. La gente scappa, urla, grida: non ci si riconosce più, perché non si sa se scappare dai Black Bloc o dalle forze dell’ordine e dai loro manganelli.
La morte di Carlo Giuliani, ragazzo
Ed è così che al G8 di Genova muore anche Carlo Giuliani, che di anni ne ha 20 e che viene, da un tempo lungo quanto la vita che ha trascorso su questa Terra, ucciso da un colpo di pistola sparato da un carabiniere di 20 anni, poco più che un esordiente buttato in mezzo alla guerriglia urbana in piazza Alimonda.
Morì un ragazzo, ammazzato dall’inesperienza di chi non aveva mai sperimentato
una situazione di ordine pubblico. Morì un giovane che stava protestando contro un mondo che non riconosceva
L’assalto alla Diaz
Ma il G8 di Genova non finisce qui: c’è anche il 21 luglio, il giorno dell’assalto alla scuola Diaz del quartiere Albaro, il centro di gestione e dormitorio autorizzato per i partecipanti al Genoa Social Forum. Tra le 22 e mezzanotte, fanno irruzione i reparti mobili della Polizia di Stato, con il supporto dei Carabinieri. Vengono fermati in 93 attivisti e 61 ne escono feriti. Tre finiranno in prognosi riservata e uno in coma. A fare il giro del mondo saranno le immagini del giornalista Gianfranco Botta, che mostrerà le immagini dei muri e dei termosifoni insanguinati, tracce del pestaggio da “macelleria messicana” di cui parlerà il vicequestore. 125 poliziotti finiranno sotto accusa. A fare ancora più scalpore saranno le dichiarazioni dell’allora ministro dell’Interno Scajola, che ammetterà di avere ordinato alle forze di polizia, nella serata del 20 luglio, di sparare sui manifestanti nel caso avessero sfondato la zona rossa della città. Parole che poi, comunque, ritratterà.
Le condanne
Nei successivi sei anni di processi sui fatti del G8 di Genova, lo Stato italiano è stato condannato in sede civile per gli abusi commessi dalle forze dell’ordine. In alcuni casi, sono stati aperti anche procedimenti penali, sia contro le forze dell’ordine sia contro i manifestanti. 250 sono stati procedimenti archiviati a causa dell’impossibilità di identificare gli agenti. Ciò non ha comunque impedito alla magistratura di sostenere che sì, anche se non ci sono colpevoli da perseguire, quei reati sono effettivamente avvenuti.
La Corte europea dei diritti dell’uomo, il 7 aprile 2015 ha dichiarato che, nei fatti di Genova, è stato violato l’articolo 3 sul “divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti” durante l’irruzione alla Diaz.
Tutta questa storia ci ha messo di fronte a nuovi interrogativi: uno dei quali, non l’ultimo, ci impone di sapere come è costituita la polizia italiana, chi la comanda, chi forma i quadri, chi impartisce lezioni di vita oltre che lezioni di tecnica. Sapere qual è il tasso di democrazia di carabinieri e polizia, è di nuovo, come ai tempi di De Lorenzo, una questione vitale per il futuro dell’Italia.
Giulietto Chiesa, “G8/Genova”
È questo che si chiede Prestigiacomo con la sua testimonianza: cos’è stato il G8 di Genova? Un pranzo di gala, mentre fuori scoppia l’inferno della guerra tra poveri? Un errore tattico? Una sottovalutazione dei pericoli? O un deliberato e feroce sfoggio della forza dello Stato? È il quesito fondamentale a cui “G8. Genova. Storia di un disastro annunciato” cerca di rispondere, con la prospettiva nuova di chi era in corteo per difendere e si è trovato costretto a difendersi. Da chi? Dallo Stato.
Elisa Ghidini