Sono passati 23 anni dai fatti del G8 di Genova, che hanno lasciato una ferita inguaribile nella memoria del nostro Paese. Anche quest’anno a Piazza Alimonda si terranno manifestazioni in ricordo di Carlo Giuliani, ucciso da un carabiniere durante le proteste, e di tutti i manifestanti arrestati, picchiati, torturati dalle forze dell’ordine durante quei terribili giorni del luglio 2001. Ma perché, al di là di tutte le dovute commemorazioni, è necessario continuare a parlarne e a ripercorrere quegli eventi, ogni luglio, e tutti i giorni? Perché il G8 di Genova 2001 è una ferita così dolorosamente attuale?
Quando parliamo di “G8 di Genova” facciamo riferimento a un vertice politico tra capi di stato che si tenne presso il Palazzo Ducale di Genova dal 19 al 22 luglio 2001, durante il secondo governo Berlusconi. La scelta di collocare un evento del genere in una cittadina meravigliosa, altamente turistica ma ostica dal punto di vista logistico come Genova, fu criticata fin da subito da esponenti politici dell’opposizione e dai privati cittadini genovesi, che avrebbero subìto in prima persona i disagi di un centro città completamente inagibile e militarizzato per l’arrivo degli otto leader politici provenienti dai più grandi paesi industrializzati del mondo.
Quello che successe in quei giorni è cosa nota: le proteste pacifiche dei movimenti no-global che furono capaci di bloccare l’intera città; l’arrivo dei black bloc; la repressione della celere con fumogeni e manganellate; le centinaia di arresti; e poi ancora la morte di Carlo Giuliani il 20 luglio a causa dello sparo di un carabiniere, e le botte violente a Eligio Paoni, che aveva osato fotografarne il corpo; le orrende torture perpetrate dalle forze dell’ordine verso civili nella scuola Diaz e poi nella caserma di Bolzaneto.
La violenza subìta dalle persone che in quei giorni manifestavano per i propri ideali, che credevano di poter cambiare lo status quo facendo sentire la propria voce, è certamente la prima cosa che merita di essere ricordata. Ma ci sono una serie di considerazioni necessarie da fare, collaterali e complementari a questa, che delineano un quadro purtroppo spaventosamente attuale.
Le responsabilità politiche del governo Berlusconi nelle violenze e nell’omicidio di Carlo Giuliani
Gli abusi da parte delle forze dell’ordine sui manifestanti pacifici sono state avallate, giustificate, ordinate dal governo Berlusconi. In città, a circondare il centro completamente blindato da grate di acciaio, un dispiegamento ingente degli organi di polizia per far fronte agli attesi disordini. Il Ministro dell’Interno Claudio Scajola, diede ordine chiaro e inconfondibile che venisse eseguito il maggior numero di arresti possibili, per dare prova a livello mediatico delle capacità e dell’organizzazione delle “encomiabili” forze dell’ordine italiane. Non solo: venne ordinato di aprire il fuoco in caso di sfondamento della “zona rossa”.
Il 20 luglio, il corpo di Carlo Giuliani giaceva ancora caldo per terra, ben fuori dalla “zona rossa”, e Berlusconi si congratulava con la celere per l’eccellente lavoro svolto nel mantenimento dell’ordine pubblico, salvo poi apparire contrito e a testa china nello scatto che lo ritrae accanto a Ciampi al momento della scoperta della morte di Giuliani.
Proprio lui, lo stesso Berlusconi che è stato santificato e ricordato con devozione e rispetto da quasi tutte le forze politiche il giorno della sua morte, il 12 giugno 2023, e per il quale è stato indetto lutto nazionale. Lo stesso Berlusconi a cui è stato recentemente intitolato l’aeroporto di Milano Malpensa.
Non possiamo permettere che alla Storia passi un’idea a tal punto distorta del leader politico che fu Silvio Berlusconi in vita, e i fatti del G8 sono, in quest’ottica, assolutamente dirimenti.
Codice identificativo e reato di tortura: il G8 di Genova non ci ha insegnato nulla
La notte del 21 luglio 2001 irruppero alla scuola Diaz numerosi agenti di Polizia, Digos e Carabinieri, per sgombrare centinaia di ragazzi provenienti da tutta Europa, accampati lì durante i giorni delle manifestazioni. I ragazzi, completamente innocui e disarmati, vennero malmenati brutalmente con calci, pugni, manganelli. Chi dormiva nei sacchi a pelo fu picchiato a sangue, così come chi alzava le braccia in alto, in segno di resa. Vennero strappati i capelli di chi cercava di mettersi al riparo, rotte loro le ossa di gambe, braccia, cranio. 61 feriti, 3 in prognosi riservata, 1 in coma.
Chi entrò in quel luogo quella notte e il giorno successivo lo definì simile a una “macelleria messicana“: il pavimento cosparso di sangue e capelli strappati.
Le violenze proseguirono il giorno successivo nei confronti dei manifestanti arrestati e condotti alla caserma di Bolzaneto. Oltre alle botte, le umiliazioni: alcuni ragazzi testimoniarono a processo che venne imposto loro di espletare i loro bisogni fisiologici sul posto, senza potersi recare in bagno. Ragazze che avevano il ciclo mestruale derise e lasciate sole nel loro sangue senza potersi lavare, o cambiare. Molti costretti a fare il saluto romano, a subìre minacce di morte, tagli di capelli, suture senza anestesie. Altri ancora svenuti dal dolore. Si è trattato di violenze così efferate e numerose che è davvero impossibile qui elencarle tutte.
La Corte di Strasburgo si è pronunciata su questi fatti, sancendo una violazione dell’Articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani sul “Divieto di tortura e di trattamenti disumani o degradanti”.
Dopo 23 anni, le forze dell’ordine in Italia sono ancora prive del numero identificativo sull’uniforme, che permetterebbe di risalire al responsabile di un’eventuale violenza compiuta. L’Unione Europea e l’ONU si sono già espresse favorevolmente, e in Europa il codice sulle divise è stato attualmente adottato da 23 paesi su 28. Inutile specificare che l’Italia non è tra questi.
Inoltre, il riconoscimento giuridico del reato di tortura, grazie al quale alcune vittime di violenza durante i fatti del G8 hanno potuto ricevere un risarcimento da parte dello Stato una volta accertata la veridicità dei fatti, è a rischio. L’attuale maggioranza di governo infatti sta tentando in tutti i modi di abrogarlo o almeno derubricarlo, per “non impedire agli agenti di fare il loro lavoro”.
Ancora una volta, i fatti di 23 anni fa ci aiutano a comprendere l’importanza che l’introduzione di tale reato ha avuto nel fornire un supporto almeno economico alle vittime che non hanno perso la vita come Carlo, ma che rimarranno segnate per sempre dalle botte e dalle vessazioni subìte in quei giorni.
Con l’impunità del carnefice, Carlo Giuliani è stato ucciso due volte
Infine, la più crudele delle considerazioni che possiamo fare analizzando i fatti del G8 e i processi svoltisi negli anni a seguire. Le vittime, come già detto, hanno ricevuto risarcimento dallo Stato, sì. Ma le forze dell’ordine coinvolte non sono state condannate. Gli uomini che hanno malmenato e torturato i manifestanti – i pochi ufficialmente identificati – sono stati prosciolti perché il fatto era ormai caduto in prescrizione. Mario Placanica, il carabiniere che sparando uccise Carlo Giuliani, fu prosciolto per aver agito per legittima difesa.
Legittima difesa armato di pistola dentro a un mezzo blindato, contro un ragazzo che, in strada, vestito in canottiera e pantaloncini da spiaggia, aveva appena imbracciato un estintore. Carlo aveva 23 anni, e adesso il suo nome è scritto in pennarello blu sopra la targa della Piazza Gaetano Alimonda, perché in fondo è giusto, che quella piazza sia la Piazza Carlo Giuliani.
23 anni dopo: non spegni il sole se gli spari addosso
Che cosa ci rimane da fare, quindi, alla luce di questo quadro profondamente sconfortante? La risposta sta nella memoria attiva. È bene ricordare e piangere le vittime durante le commemorazioni, ma ancor di più è necessario portare avanti a testa alta le battaglie in cui quelle vittime credevano fortemente e per cui sono state uccise, o, nel caso dei fatti di Genova, picchiate a sangue e torturate.
“Non spegni il sole se gli spari addosso”: molti muri nelle città italiane ricordano Carlo Giuliani con questa frase. Ed è vero. Gli ideali per cui Carlo era in piazza, quel giorno, possiamo e dobbiamo farli nostri: i diritti dei lavoratori, degli immigrati, la rabbia generata dalla voglia di riscatto sociale, la ribellione che riempie le strade contro i vuoti e grigi palazzi del potere, dove si scambia l’etica col denaro.
Per Carlo, e per tutte le vittime di tortura, che il sole della nostra rabbia sia sempre luminoso.