G20 Italia 2021 tra pandemia, crollo economico, crisi ambientale e proteste

G20

Dal 1 dicembre dell’anno scorso, la presidenza del G20, il summit dei 20 paesi leader economici mondiali, che viene assegnata a turno ad uno tra i paesi membri, è stata assunta per la prima volta dall’Italia.

Il G20 italiano è partito a Roma nel mese di maggio con incontri sui temi della cultura e del turismo e con il Global Health Summit. Le prossime tappe prevedono: Catania per lavoro e istruzione tra il 22 e il 23 giungo; Matera e Brindisi su esteri e cooperazione Sociale tra il 28 e il 30 giungo; Venezia tra l’8 e l’11 luglio, che ospiterà il vertice dei ministri dell’economia e delle finanze e dei governatori delle banche centrali, il Global Forum on Productivity dell’OECD, l’International Taxation Symposium e, forse prima per importanza, la conferenza G20 sul clima; Napoli su ambiente ed energia tra il 22 e il 23 luglio; Roma su salute il 5 e il 6 settembre; Firenze su agricoltura tra 19 e 20 settembre; Sorrento su commercio il 5 ottobre. Infine, l’agenda del G20 italiano si concluderà a Roma con il vertice dei capi di Stato e di governo il 30 e 31 ottobre 2021.

Che cos’è il G20?

Il G20 nasce nel 1999 con il primo incontro di Berlino al quale parteciparono i ministri delle finanze e i banchieri centrali dei 20 paesi considerati i più industrializzati del pianeta. Ne fanno parte i membri del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti, coordinati dall’UE), i paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), più Australia, Arabia Saudita, Argentina, Corea del Sud, Indonesia, Messico e Turchia e, infine, Spagna e Paesi Bassi come soli osservatori ospiti. I paesi che compongono il G20 rappresentano più del 80% del PIL mondiale, il 75% del commercio globale, il 60% della popolazione del pianeta e sono i responsabili di oltre l’85% delle emissioni globali di gas serra climalterante.



Il G20 affonda le proprie radici nell’esperienza del G7 ( e poi del G8),  il gruppo intergovernativo informale che riunisce le principali economie dei paesi “avanzati”, il cui peso politico, industriale, economico e militare viene considerato di fondamentale importanza su scala globale. Il gruppo G7 è stato fondato nel 1975, ma è stato formalizzato solo più tardi nel 1986, con lo scopo di semplificare e agevolare le iniziative macroeconomiche accordate tra i paesi membri in risposta al crollo del regime di tasso di cambio fisso del 1971, durante il tempo del Nixon Shock, crisi energetica e la conseguente recessione. Fin dai primi passi, dunque, l’obiettivo principale del G7 era di carattere economico-finanziario: lo scopo era quello di mettere a punto nuove politiche economiche a breve termine tra i paesi partecipanti, tenendo sotto controllo gli sviluppi nell’economia mondiale. Così come per il G7, anche il G20 si è mosso su binari principalmente economici nei primi anni di attività tra il 1999 e il 2008, anno che ha segnato un punto di svolta a causa della diffusione mondiale della crisi economica scoppiata negli Stati Uniti tra 2006 e 2007. A partire dal 2008, infatti, il programma del G20 ha cominciato ad includere anche il summit dei capi di stato dei paesi membri e non più solo dei ministri delle finanze e dei banchieri.

Come G7 e G8, anche il G20 non è un organismo istituzionale ufficiale, non è dotato di uno statuto regolativo interno né ha scopi precisi, opera senza mandato delle Nazioni Unite ed è da considerarsi privo di legittimità democratica. Insieme ad altre strutture di governance internazionale come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio, anche il G20 fa parte di quel complesso di istituzioni che, nel corso dei decenni, è andato sovrapponendosi e sostituendosi a quello di carattere democratico, ostacolando l’azione di altre organizzazioni internazionali, rappresentative e normate, come l’ONU.

Il modello incrementato G20, fin dai suoi primi passi e ancora di più dal 2008 in avanti, non è altro che la reazione dei paesi più ricchi e influenti dell’economia mondiale davanti al fallimento del loro stesso sistema, un disperato tentativo di salvare i principi di un’economia capitalista basata sulla concorrenza spietata, sul profitto e sulla crescita ad oltranza, la stessa responsabile delle crisi passate come di quelle presenti, della pandemia globale e della crisi climatica. Piuttosto che accettarne il tracollo e l’insostenibilità, 20 paesi del mondo si sono autoaffermati centro del potere economico mondiale, esiliando arbitrariamente dal “tavolo delle decisioni” gli altri 172 paesi membri delle Nazioni Unite.

Proteste, mobilitazioni e manifestazioni sociali

Associazioni, movimenti sociali e organizzazioni lottano da decenni contro il processo antidemocratico che guida le azioni del G20 chiedendo alternative socialmente, economicamente ed ecologicamente rinnovate e sostenibili. Nel corso degli anni, le manifestazioni e le proteste contro G7, G8 e G20 sono state innumerevoli e sono divenute celebri per gli scontri con le forze armate, la repressione violenta dei cortei, le cariche della polizia e le deliberate aggressioni contro i manifestanti, le vittime e i numerosi feriti della violenza di Stato: basterebbe ricordare le azioni criminali e i drammatici fatti del G8 di Genova del 2001, gli scontri in occasione del G20 di Londra nel 2009 o quelli di Amburgo del 2017

Il programma del G20 italiano di quest’anno ha il suggestivo titolo People, Prosperity and Planet, che comprende tre delle cinqueP” degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda2030 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Convenientemente sono state tralasciate le altre due “P”, Partnership e Peace, che sembrano essere state sostituite da una sesta “P” che comprende tutte le altre e, senza sorpresa, si rivela come la parola guida delle azioni e delle decisioni del G20, ovvero Profit. Se negli anni passati il G20 ha continuato a giustificare la propria esistenza promettendo una stabilizzazione e, anzi, una “crescita sostenibile” dell’economia mondiale, oggi, dopo oltre un anno di pandemia globale che ha messo in ginocchio non solo le strutture sanitarie ma anche quelle industriali, del lavoro e dell’istruzione, le promesse dei leader mondiali non possono che risultare più ingannevoli e fallaci che mai. Sembra evidente, infatti, che il vero scopo del G20 non sia mai stato quello di risolvere realmente le crisi, promuovendo e apportando alternative sostenibili e di transizione, quanto, piuttosto, quello di tentare fino all’ultimo di rinvigorire nuovamente il regime economico neo liberale. 

Anche quest’anno, le proteste e le manifestazioni contro il G20 e per sensibilizzare rappresentanti e partecipanti agli incontri e summit previsti non si sono fatte attendere. Fin dalle prime giornate a Roma il 21 e 22 maggio, in occasione del Global Health Summit, sono scesi in piazza diversi cortei di studenti e lavoratori per protestare contro l’amministrazione fallimentare dell’emergenza sanitaria mondiale e per richiedere la liberalizzazione del brevetto sui vaccini e porre fine alla gestione criminale della loro distribuzione nel mondo. Anche a Catania, a pochi giorni dal summit su lavoro e istruzione previsto per il 22 e 23 giungo, sono già partiti  manifestazioni, proteste e flash mob. A Venezia, il movimento We are the Tide, you are only (g) 20 e La società della Cura-Venezia si sono già organizzati promuovendo assemblee pubbliche verso le mobilitazioni contro il summit della Finanza a luglio.

Questo G20 italiano è il primo nel mondo dopo l’impatto della pandemia da coronavirus. L’interno pianeta ne è stato colpito duramente con milioni di morti, collasso dei sistemi sanitari e ospedalieri, crisi economica e del mercato del lavoro, nonché inasprimento degli effetti dei cambiamenti climatici ma, come sempre, sono stati i paesi più poveri a ricevere il colpo più duro. Alla base di questi scompensi vi è un sistema economico, politico e industriale basato sul capitalismo le cui estensioni, tra cui il G20 stesso, non hanno fatto altro che aumentare povertà, disuguaglianze sociali, emarginazione e morte. Siamo certi di voler rispondere alla crisi mondiale lasciando, ancora una volta, carta bianca ai medesimi strumenti che l’hanno creata? 

Marta Renno

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