G. Berdimuhamedov VS Wikipedia: il parco giochi dell’internet politico

G. Berdymuhamedov

G. Berdymuhamedov

Una persona “vanitosa, pignola, vendicativa”. Sono solo tre degli aggettivi riportati sulla pagina Wikipedia di G. Berdimuhamedov; i dati risalgono al 2009, fonti provenienti dall’ambasciata di Aşgabat – capitale turkmena – e riportati su Wikileaks. Sembra che le informazioni non esternino una gran considerazione del politico.
Il presidente ha preferito un piano di censura a tutto tondo, facilitato dalla presenza di un unico provider, quale Turkmentelecom; non è una novità l’ormai abitudinario blocco di siti esteri, giudicati, potremmo dire, “fastidiosi”.

Alcuni dei dettagli riportati sono piuttosto interessanti, se pensiamo strettamente connessi agli aspetti più influenti della personalità politica. Una parte dei messaggi, citante “sospettoso, diffidente, limitato, molto conservativo, falso” e “[…] un buon attore”, non giocano certo a favore, come del resto “non ama le persone più intelligenti di lui”; ci troviamo di fronte ad una vera e propria “congiura sintattica”, la quale probabilmente evidenzia quanto l’atteggiamento del presidente non sia stato apprezzato.




Un appunto è doveroso: inviterei il lettore a consultare la pagina Wikipedia italiana del presidente turkmeno: noterà probabilmente delle differenze sostanziali con la pagina americana e non parliamo di quisquilie. Tralasciando ciò, il caso di G. Berdimuhamedov è solo uno dei tanti inerenti l’influenza politica in rete; ogni paese, rinvigorito dal concetto di epoca contemporanea, usufruisce costantemente della messaggistica web. Si deve ormai constatare la presenza di un forte intermediario tra cittadino e politico, che si esplica attraverso estetica ed atteggiamenti molto differenti dal classico comizio.

Pensiamo ai tweet di Trump, alle rappresaglie online del M5S o alle incredibili doti etiche e culinarie dell’ex ministro Matteo Salvini; oggi, per noi, sono la normalità, capace di strapparci anche qualche risata. Tuttavia, rappresentano un fattore da tenere sotto controllo, in quanto di regolare amministrazione nella vita di tutti i giorni. Un post, un intervento sintatticamente rapido e diretto, ha per l’utente un “sapore” differente e si sente infatti partecipe al 100%; benché ciò sembri sottolineare un risvolto etico importante e sensato, non dà le stesse soddisfazioni a livello pratico. Fra le prese di posizione fuori luogo e disinformate – da entrambe le parti-, assistiamo ad un mare magnum del tutto estraneo all’internet di qualche decennio fa.

Ricordo ancora il caso del Mandato zero e l’esaustiva spiegazione di Luigi di Maio: la risposta del web è stata a dir poco immediata, tra le prese in giro e chi spalleggiava il ministro. Una cotanta partecipazione rispecchia un livello di coscienza “a metà”, nella quale i cittadini – perlomeno in percentuale – non notano la sostanza del tema, quanto piuttosto la sua facciata.
Questo vale per ogni genere di feedback, positivo o negativo che sia. Il caso di G. Berdimuhamedov è ancora più emblematico: la sua è una soppressione della libertà di pubblicazione, scaturita comunque da motivazioni paradossalmente anche legittime; in fondo non si stavano sottolineando peculiarità inerenti la sua storia politica, ma una lista di “difetti antipatici”.

Ciononostante, l’atteggiamento del presidente turkmeno deriva dalla possibilità di esercitare una forma di potere in modo fin troppo versatile; il che, in ogni caso, resta un dettaglio non da poco.
Ultimo caso è stato quello dell’Iran, la quale ha preferito il blocco totalitario di internet e che solo da pochi giorni sta tornando sui suoi passi. Esempi di questo tipo non fanno altro che ricordarci quanto l’apparenza sia fondamentale in un mondo ormai povero di concretezza; la rappresentanza politica ha perso quei dettami marxisti, di un contesto storico ben affermato e giustificato, diventando solo espressione di goliardia ed esigenza di spiccare; la riflessione passa in secondo piano e pone il becero qualunquismo sul podio, dai semplici tweet agli articoli online.

E se il lettore ritiene che l’utilizzo del termine “marxista” porti ad una personale vicinanza al comunismo, sappia che, tralasciando l’errore storico alla base, mi ha appena dato ragione.

Eugenio Bianco

 

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