Fuori rotta: le anomalie del sistema migratorio

Le migrazioni fanno da sempre parte della storia dell’umanità, come possibile risposta agli shock e agli squilibri globali che determinano gli enormi divari di reddito e benessere nella popolazione. Ma negli ultimi anni la crisi economica e ambientale ha prodotto delle anomalie del sistema migratorio che hanno reso i governi sempre più incapaci di mediare tra gli interessi contrastanti dei paesi d’origine e quelli di destinazione.

Le migrazioni fanno parte dell’esperienza umana fin dai primi giorni della civiltà, ma mai come ora rappresentano una sfida decisiva per lo sviluppo della vita sul pianeta, nonostante gli shock globali degli ultimi anni (crisi economiche e ambientali, guerre e pandemia) abbiano amplificato enormemente le anomalie del sistema migratorio. 

Nella lotta per far fronte agli squilibri economici globali, alle tendenze demografiche divergenti e ai cambiamenti climatici, la migrazione è destinata a diventare sempre più una necessità per i Paesi a tutti i livelli di reddito. Secondo il nuovo World Development Report 2023: Migrants, Refugees and Societies stilato dalla Banca Mondiale, circa il 2,5 per cento della popolazione mondiale, ovvero 184 milioni di persone (inclusi 37 milioni di rifugiati), vive oggi al di fuori del proprio paese di origine.

Il fenomeno migratorio è una forza potente ma spesso incontrollabile, capace  di migliorare la vita di centinaia di milioni di persone ma anche di provocare delle vere e proprie bombe sociali quando gli Stati di destinazione non riescono a mediare tra gli interessi contrastanti dei Paesi d’origine dei migranti. 

Le migrazioni sono davvero una risorsa necessaria per il futuro?

«Quanti hanno accolto uomini d’altra razza, la maggior parte sono caduti in preda alle fazioni». Con queste parole Aristotele, più di duemila anni fa, metteva in guardia i greci sui rischi derivanti dall’accogliere individui provenienti da territori estranei per cultura e affinità.

Ma, onde evitare fraintendimenti, è bene precisare che molto spesso l’idea – piuttosto radicata nel genere umano – per cui tutto ciò che è  multietnico debba per forza  generare scontri e tensioni rappresenta un pregiudizio della ragione piuttosto che il frutto di una genuina riflessione sullo stato reale degli eventi.

Nel mondo attuale, i cambiamenti demografici hanno determinato un’intensificazione della competizione globale a tutti i livelli (prospettive professionali, aspettativa di vita, felicità personale) che il protezionismo etnico non può più soddisfare. Consideriamo il caso di tre Paesi molto diversi tra di loro: Italia, Messico e Nigeria, con i primi due caratterizzati da una lunga storia di migrazioni. 

Secondo le previsioni del World Development report  2023, il belpaese, che ad oggi ha una popolazione di 59 milioni di abitanti, dovrebbe ridursi di quasi la metà (32 milioni) entro il 2100, mentre le persone sopra i 65 anni potrebbero passare dal 24 al 38 per cento della popolazione. Nei prossimi anni in Messico il tasso di fecondità è destinato a scendere ad una quota tale da garantire a malapena il livello di fertilità di sostituzione che consentirebbe alla popolazione di sostituirsi da una generazione all’altra.le anomalie del sistema migratorio

In Africa, invece, la bilancia demografica continuerà a segnare un risultato più che positivo per decenni e il caso della Nigeria è in tal senso emblematico.  Lo stato africano dovrebbe, infatti, aumentare la sua popolazione da 213 milioni a 791 milioni, diventando il secondo paese più popoloso del mondo, dopo l’India, entro la fine del secolo.




I principali fattori alla base dei flussi migratori

Nei processi di migrazione, i push factors (fattori di spinta) che portano un singolo individuo o un gruppo umano a migrare sono rimasti sostanzialmente identici nel corso degli ultimi decenni. Tra le ragioni principali ci sono i conflitti tra Stati con la conseguente presenza di sistemi antidemocratici che producono persecuzioni e violazioni dei diritti umani, i gravi squilibri economici in determinate aree geografiche, i cambiamenti del clima o del territorio e le catastrofi naturali. Tutti questi fattori sono accomunati dalla comune spinta dell’essere umano ad assicurarsi un’accettabile sopravvivenza per sé e per i propri cari.

Il mondo attuale sta, però, attraversando una fase di forti squilibri demografici che nei prossimi decenni determineranno shock migratori sempre più consistenti. Secondo i dati dell’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), gli attuali squilibri hanno già generato intensi flussi migratori e uno stock di almeno 300 milioni di persone. La conseguenza di tutto ciò è che regioni in declino convivono con regioni in cui la popolazione raddoppia in meno di tre decenni, determinando così un profondissimo divario tra i livelli di vita delle persone.

Tuttavia, la sovraesposizione di alcuni Paesi alle immigrazioni non dipende soltanto  dall’aumento generalizzato dei flussi di persone che lasciano i loro territori d’origine con la speranza di trovare migliori condizioni nei Paesi che li ospiteranno (rapporto tra push factors e pull factors),  ma anche dalle politiche messe a punto dagli Stati d’approdo sui trasferimenti transfrontalieri. Infatti, mentre la maggior parte delle Nazioni d’origine dei migranti non ha molto potere nella regolamentazione dei movimenti, i Paesi di destinazione possono contare su risorse e mezzi giuridici molto più ampi per definire e regolamentare chi attraversa i propri confini, decidendo chi è legalmente autorizzato a soggiornarvi e con quali diritti.

In che modo le anomalie del sistema migratorio determinano le scelte politiche degli Stati

Spesso la crisi demografica dilagante in molti Paesi méta degli sbarchi produce  nell’opinione pubblica e nei governi un atteggiamento di distacco e insofferenza verso le politiche migratorie. E anziché promuovere soluzioni in grado di sviluppare un’economia del lavoro basata sulla “corrispondenza” tra le competenze dei migranti e le relative esigenze del paese di destinazione, i governi si limitano a cavalcare l’onda lunga delle crisi migratorie per rafforzare il proprio consenso interno.

Il caso dell’Ungheria di Viktor Orban è emblematico: dal 2021 il governo ungherese ha continuato a ignorare la sentenza della Corte europea sui migranti  dicendosi contrario ad adottare il sistema  delle quote per la ripartizione dei migranti.  

Secondo il World Development Report 2023, invece, i Paesi destinatari dei flussi migratori, oltre a garantire i corridoi umanitari per coloro i quali godono dello status di rifugiato internazionale,  dovrebbero iniziare a considerare la migrazione per lavoro parte integrante della loro strategia di sviluppo. Infatti, laddove le competenze portate dagli stranieri possono rivelarsi utili a colmare delle lacune o delle richieste di lavoro nei settori più esposti alla crisi economica, i Paesi di destinazione  potrebbero facilitare  anche l’inclusione degli immigrati nel tessuto sociale nazionale.

Il caso italiano del Decreto Flussi

Purtroppo, però, ad oggi le collaborazioni bilaterali tra paesi di origine e di accoglienza sono quasi sempre disfunzionali e il più delle volte sono finalizzate al solo contenimento delle partenze illegali. Il caso recente dell’Italia e del decreto Legge n. 1/2023 (Decreto Flussi) recante disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori ne è un esempio.

Il testo approvato il 28 dicembre 2022 dal Consiglio dei Ministri e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 2 gennaio 2023 non è stato concepito per essere inserito in un sistema strutturato, coordinato ed efficace di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale al livello sovranazionale. E, soprattutto, non garantisce il coinvolgimento dell’Italia – quale Paese di destinazione – nell’evacuazione di emergenza dai centri di detenzione in Libia verso Paesi dove i diritti umani sono rispettati, incluso il diritto di ottenere protezione internazionale, canali umanitari e vie di accesso sicure e legali all’Europa.

I flussi migratori in Europa

Ad incidere sulle rotte dei flussi migratori sono, dunque, anche le politiche messe in atto dai singoli Stati e dalle istituzioni internazionali nell’intento di regolarli. Nel caso delle migrazioni che interessano l’Italia e gli altri Paesi dell’Unione Europea, la questione è stata discussa sia in ambito di Consiglio europeo che durante i vertici informali dei Capi di Stato e di governo dei paesi membri, nell’ottica di un rafforzamento del principio di solidarietà fra gli stessi stati.

Sfortunatamente, però, i vari provvedimenti intrapresi dall’Unione Europea in materia di politiche migratorie sino a questo momento non hanno mai superato le differenze derivanti da un’impianto giuridico-concettuale improntato sull’autorità dei singoli stati-nazione che compongono l’unione dei 27.

Malgrado questo aspetto, in  tema di politica migratoria comunitaria è comunque importante ricordare la data del 13 maggio 2015, quando la Commissione europea – a seguito di tragici naufragi avvenuti nel mediterraneo – presentò l’agenda europea per le migrazioni elaborando un documento strategico di riferimento in materia per tutti i membri comunitari. In quell’occasione vennero stabiliti  quattro pilastri fondamentali per garantire la sicurezza interna e la tutela dei diritti fondamentali degli individui, al fine di approntare una strategia unitaria per la gestione dei flussi migratori.

I primi tre punti riguardano il rafforzamento della cooperazione con i Paesi di origine e di transito degli immigrati, il miglioramento delle attività di ricerca e salvataggio in mare dei migranti e il superamento del sistema di Dublino  e l’attuazione di un sistema comune di asilo capace di garantire misure di solidarietà nella piena fiducia dei paesi membri della UE. Il quarto parametro fa riferimento all’impegno dei vari membri comunitari nel trovare soluzioni concrete ed efficaci per le immigrazioni legali.

Ad oggi, molti di questi obiettivi non sono stati raggiunti e gli eventi degli ultimi anni non hanno fatto altro che aumentare drasticamente le distanze tra gli Stati europei nella gestione dei flussi migratori. I singoli governi si sono concentrati soltanto sulla riduzione del numero degli arrivi dei migranti e ciò probabilmente per l’incapacità politica della UE di raggiungere un accordo condiviso per un’efficace gestione delle responsabilità e delle opportunità derivanti dall’immigrazione vista come risorsa per il futuro demografico del vecchio continente.

Tommaso Di Caprio

 

 

Exit mobile version