Chi a piedi e chi a bordo di un asino, chi tra le macerie e chi in un appartamento con altre 50 persone. Senza acqua, cibo, medicine.
In condizioni infernali, continua l’evacuazione dei palestinesi da Gaza
Lo scorso venerdì, l’esercito israeliano ha ordinato ai palestinesi residenti a nord di Gaza e all’interno della città di evacuare verso il sud, “per la loro sicurezza e protezione“. Tutto questo, secondo gli ordini, si doveva concludere in 24 ore, in vista di un’operazione militare di terra.
Ma, come gli stessi israeliani hanno riconosciuto, 24 ore non sono state sufficienti per sfollare tutti i civili. Infatti, l’evacuazione è ancora in corso.
Nel frattempo, Israele ha messo la città sotto assedio, tagliando le forniture di cibo, carburante ed elettricità e bloccando l’ingresso degli aiuti.
Al momento, 532.000 dei 2,2 milioni di residenti di Gaza sono sfollati interni. Come spiega la segretaria generale di Amnesty International, Agnes Callamard, le persone si trovano nel panico, in mezzo al campo di battaglia, senza idea di cosa fare né di dove andare.
L’ordine di evacuazione ha seminato il panico tra la popolazione e ha lasciato migliaia di palestinesi sfollati interni che ora dormono per strada, senza sapere dove fuggire o dove possono trovare sicurezza in mezzo a un’incessante campagna di bombardamenti
Fuga da Gaza: “tutti stanno correndo per la propria vita”
A Gaza e nei territori a nord, la popolazione fugge con qualsiasi mezzo.
I trasporti pubblici non sono disponibili perché, con il blocco imposto da Israele, il carburante ha iniziato a scarseggiare.
Alcuni fuggono in auto, a piedi, o in sella ad asini, cavalli e carretti. Chi può, cerca accoglienza in case di amici e parenti, o in rifugi ormai sovraffollati.
Un viaggio di un’ora sembra durare 30 anni. Abbiamo dovuto cambiare percorso molte volte. . . Tutti stanno correndo per la propria vita, al di là dell’orrore. Bambini che piangono e sono terrorizzati. . .
Mentre i civili sono in fuga da Gaza, le strade e gli edifici intorno a loro crollano a causa degli attacchi aerei. Centinaia di persone rimangono intrappolate sotto la macerie, senza che le squadre di soccorso siano in grado di raggiungerle. Non hanno il carburante per farlo, e nemmeno le strade.
Perciò, i civili stessi cercano di rimuovere i corpi e portarli al sicuro.
Stiamo cercando di rimuovere i corpi, ciò che è rimasto dei corpi, dei bambini con le nostre stesse mani. I bulldozer non riescono a raggiungere l’area per rimuovere le macerie. Sono qui da tre giorni dopo il bombardamento, 19 membri della mia famiglia sono stati uccisi e sono riuscita a recuperare solo il corpo di mia nuora e la spalla di mio figlio
I funzionari sanitari, nel frattempo, attendono dall’esercito israeliano istruzioni su come evacuare gli ospedali dai malati terminali, anziani, disabili e feriti.
Devono dirmi come possiamo evacuare gli ospedali con i pazienti in terapia intensiva e tutti i feriti nei recenti attacchi, è una sciocchezza, è impossibile
Secondo Ahmed Al-Mandhari, direttore regionale dell’OMS per il Mediterraneo orientale, è probabilmente meglio lasciarli lì. Anche se gli antidolorifici sono finiti, e tra poche ore non basterà più il carburante per tenere in funzione i generatori. La dialisi, intanto, non è più disponibile.
Ci sono circa 2.000 pazienti serviti da 21 ospedali nel nord di Gaza, ed è meglio tenerli lì, se li spostiamo significa che stiamo rilasciando un certificato di morte per loro
Acqua e cibo scarseggiano. Alcuni palestinesi scavano pozzi vicino al mare, altri si dissetano bevendo l’acqua non potabile dei rubinetti o persino l’acqua salata.
C’è farina per ancora una settimana circa e, per risparmiare, i pasti sono ridotti a uno al giorno. Con priorità ai bambini.
Fuga da Gaza: la catastrofe del sovraffollamento
Mentre il nord lentamente si svuota, il sovraffollamento diventa sempre più difficile da gestire per i villaggi del sud, come quello di Khan Younis.
Questo paese, che ospita 400.000 abitanti, si è trovata in meno di 48 ore con una popolazione che supera il milione.
Centinaia di migliaia di persone sono fuggite qui dal nord con qualsiasi cosa potesse trasportarli: automobili, cavalli e carri, i loro piedi se non c’era altra scelta.
E quello che hanno trovato è stata una città in ginocchio, mal preparata per il fatto che la sua popolazione sarebbe letteralmente raddoppiata da un giorno all’altro.
Ogni stanza, ogni vicolo, ogni strada è gremita di uomini, donne e giovani. E non c’è nessun altro posto dove andare.
Qualcuno si è stabilito negli ospedali, divenuti rifugi, seppur a corto di beni di prima necessità. Altri sono andati a convivere con i residenti, riempiendo piccoli appartamenti con 50/60 persone. Così stretti da trovarsi guancia a guancia.
Altre famiglie si sono ammucchiate nelle scuole, dove hanno allestito stendibiancheria sui balconi. Il cortile, invece, è diventato il luogo in cui mamme e nonne cucinano quel poco cibo che hanno a disposizione.
In più, tutti hanno bisogno di acqua. Che però scarseggia. Quindi, è stata razionata a 300 ml al giorno a persona.
Non tutti hanno trovato posto. Perciò, non hanno avuto altra scelta che ricavarsi un riparo tra i vicoli e i sottopassaggi, in mezzo alle macerie, mentre razzi e bombe gli cadono intorno.
Decine di giornalisti morti: “continueremo il nostro lavoro”
Gli unici che hanno scelto di rimanere, consapevoli del rischio altissimo, sono i giornalisti, impegnati a raccontare la guerra al resto del mondo. Tra questi c’è Rakan Abdelrahman, freelance residente a Gaza.
Il suo è un lavoro molto pericoloso, oggi reso ancora più difficile dal taglio dell’elettricità e dall’assenza di rete internet.
A causa della cattiva connessione Internet e delle interruzioni di elettricità, non possiamo riferire qualcosa in tempo reale. In ogni caso, non c’è un posto appropriato da cui lavorare
Quando possono, si riuniscono nei bar rimasti aperti a confrontare dati e informazioni. Oppure vanno all’ospedale Shifa, dove possono ricaricare il cellulare e rimanere aggiornati.
Secondo il Committee to Protect Journalists (CPJ), sono già 12 i giornalisti morti durante i bombardamenti. Alcuni, appositamente presi di mira nonostante il giubbotto identificativo della stampa.
Non possiamo coprire il luogo dei massacri, o persino raggiungere i luoghi che sono stati bombardati, per paura che un altro attacco israeliano prenda di mira la stessa area.
Ogni secondo sei in pericolo. I nostri colleghi hanno pagato il prezzo con la vita, come Saeed al-Taweel, Mohammed Subh e Hisham Alnwajh
Ghazi al-Aloul, corrispondente giordano, sostiene che la paura sia parte integrante del lavoro di un giornalista nella Striscia di Gaza.
Naturalmente, sei combattuto tra la tua responsabilità di giornalista nel trasmettere la verità e i rischi che ne derivano, rispetto a ciò che la tua famiglia sta attraversando. Penso che ormai siamo abituati a queste pressioni. Continueremo sempre il nostro lavoro, indipendentemente dagli ostacoli che ci si presentano
C’è la possibilità che finiamo per essere noi la notizia.
Ma, come giornalisti, abbiamo sempre dimostrato di essere all’altezza del compito
Nel frattempo, il mondo intero si prepara ad affrontare quella che si preannuncia una crisi umanitaria senza precedenti.