A Castellammare di Stabia, anticamera della Penisola Sorrentina, l’odierna festività dedicata all’Immacolata Concezione rappresenta una delle tradizioni più sentite e radicate nell’animo dei suoi abitanti : la notte tra il 7 e l’8 Dicembre la città si accende del calore e della luce dei cosiddetti “Fucaracchi”.
La loro origine si perde nel lontano 800: leggenda narra che un pescatore, a largo delle acque stabiesi, fu sorpreso nella notte da un’improvvisa tempesta, e in balia delle onde invocò l’aiuto della Vergine Maria; ritrovatosi miracolosamente illeso sull’arenile della città, accese quindi un falò e chiamò a raccolta i passanti, esortandoli a unirsi a lui intorno al fuoco per recitare un rosario di ringraziamento alla Madonna che lo aveva salvato da tale sventura.
Da allora la tradizione delle voci votive e dei falò – diventata negli anni una gara non dichiarata tra i vari quartieri – si rinnova, in una colorita e profumata mescolanza tra sacro e profano.
Quest’ anno, però, l’ultimo aspetto ha brutalmente valicato il primo, laddove un falò da simbolo di devozione mariana si è trasformato in plateale mezzo per manifestare un altro genere di fede, quella al proprio clan. In uno dei quartieri “caldi” della città, alla pila di legna era affisso infatti un macabro messaggio: «Così devono morire i pentiti: abbruciat» accompagnato da un manichino cosparso di benzina, dato poi alle fiamme col resto.
I fatti sembrano fare riferimento al blitz delle forze dell’ordine, tenutosi pochi giorni prima ai danni del clan D’Alessandro, grazie alle dichiarazioni dei super pentiti Salvatore Belviso e Renato Cavaliere, che hanno portato all’arresto di 14 persone. Solo pochi anni fa, a seguito della stessa collaborazione fra Belviso e la magistratura, i clan fecero diffondere magliette con su scritto «Meglio morto che pentito».
La camorra non manca dunque di fantasia per far sentire la propria voce, ma i fatti della scorsa notte fanno affondare ogni traccia di “black humor” in un’inquietudine profonda.
Ci si chiede come sia potuto accadere, considerata anche l’ordinanza emanata dal sindaco Gaetano Cimmino per vietare, a motivo di ordine e sicurezza, l’accensione dei falò nei rioni. Ma soprattutto come sia possibile che tra i presenti la cosa abbia sollevato ovazioni piuttosto che indignazione, in barba alla sacralità di questa celebrazione a cui tanti si dicono devoti.
“Pochi imbecilli non possono certo rovinare l’immagine di una festa di tutta la città. L’immagine del manichino sulla catasta è terribile ed il suo significato mette i brividi. Rabbrividisco e inorridisco non solo davanti agli autori di quel gesto frutto di una mentalità retrograda, vile, ignorante, da annientare con ogni mezzo a nostra disposizione, ma soprattutto davanti a quei cittadini che sono rimasti immobili”.
Ha dichiarato in una nota il sindaco, di comune accordo stavolta col consigliere di opposizione Scala, che in un post ha espresso:
“Credo che quel gesto da un lato provoca indignazione negli stabiesi, dall’altro ci sia voglia di rimarcare le dovute distanze. Castellammare è un’altra cosa, è da un’altra parte. Ma dobbiamo veramente prendere le distanze, siamo questo noi? Vogliamo essere questo? Me la prendo con chi doveva controllare, ma anche con quelli che son rimasti lì ad ammirare quella bruttura, ignobile, stupida e violenta.”
Si cerca intanto di chiarire le responsabilità e fare luce sugli autori di un gesto ignobile, che getta l’ennesima onta su una città costantemente in lotta per la propria rivalsa turistica e culturale.
Traguardo a quanto pare ancora lontano, non solo a causa delle falle dell’amministrazione, ma dei cittadini che, anziché di coraggio, ieri hanno preferito armarsi di smartphone per immortalare il momento, lasciando vincere ancora una volta l’omertà, o ancora peggio, l’indolenza.