A meno di un mese dal via, il programma ministeriale “Frutta e verdura nelle scuole” sta già provocando numerose discussioni. Scopriamo perché.
L’iniziativa, che si inserisce in una programmazione europea e che in Italia è di competenza del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ha l’obiettivo di “incrementare il consumo dei prodotti ortofrutticoli e di accrescere la consapevolezza dei benefici di una sana alimentazione”. Lo scopo è senza dubbio nobile: sono noti a tutti, ormai, i benefici che una dieta a base vegetariana ha sia sulla nostra salute sia su quella del pianeta.
Il programma “Frutta e verdura nelle scuole” mira a sensibilizzare gli studenti e le loro famiglie attraverso attività e iniziative speciali. Una di queste è la distribuzione gratuita di frutta e verdura agli istituti che aderiscono, al fine di abituare i ragazzi a mangiare meglio.
La Strategia Nazionale su cui si basa il programma elenca tra i parametri fondamentali territorialità e stagionalità dei prodotti. Ed è qui che emerge la prima contraddizione.
In alcune scuole di Roma aderenti all’iniziativa sono state distribuite porzioni di pomodorini. Un frutto indubbiamente fuori stagione, nel mese di gennaio. A proposito di territorialità, è impossibile non notare l’indicazione di provenienza riportata in etichetta: “Forlì-Cesena”. 340 km di distanza. Alla faccia della filiera corta.
Ma non è tutto. I pomodorini incriminati, infatti, erano confezionati in bustine di plastica monouso. Questione ormai sulla bocca di tutti, quella della sostenibilità ambientale. Quando ci viene chiesto come ridurre l’impatto ambientale della nostra vita, il primo consiglio che chiunque si sente di dare è ridurre usa e getta e imballaggi in plastica. Curioso che il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali ancora non lo sappia.
“Frutta e verdura nelle scuole” sì, ma con coerenza: l’iniziativa, per cui l’Italia nel biennio 2017-2018 ha stanziato ben 21 milioni di fondi europei, potrebbe avere forti potenzialità. Potrebbe contribuire a insegnare alle nuove generazioni i benefici di una sana alimentazione e di un’esistenza sostenibile. Potrebbe farlo, risolvendo giusto un paio di paradossi.
Chiara Dalmasso