Frontex ha respinto almeno 27.288 naufraghi verso Libia e Tunisia tra il 2019 e il 2023

Frontex Frontex e mafia libica

Negli ultimi anni, la crisi migratoria nel Mediterraneo ha visto protagonisti i flussi provenienti da Africa e Medio Oriente, con decine di migliaia di migranti che cercano di raggiungere l’Europa in condizioni spesso estremamente precarie.

Uno studio recente del progetto Liminal, un centro di ricerca di Bologna, ha messo in luce una pratica che coinvolge l’Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera (Frontex) e che potrebbe avere implicazioni significative non solo sul piano umanitario, ma anche su quello legale e morale. Secondo quanto emerge dal rapporto visionato in esclusiva dalla rivista Altreconomia, tra il 2019 e il 2023 Frontex ha respinto almeno 27.288 naufraghi verso Libia e Tunisia, suscitando accese critiche da parte delle organizzazioni per i diritti umani e degli esperti in materia di diritti internazionali.

Il ruolo controverso di Frontex: origini e missione

Frontex, nata nel 2004 con il compito principale di assistere gli Stati membri nella gestione delle frontiere esterne dell’Unione Europea, è stata progressivamente potenziata nel corso degli anni, soprattutto a seguito delle crisi migratorie che hanno caratterizzato il Mediterraneo. Con il crescere dell’immigrazione e della pressione sulle rotte migratorie verso l’Europa, l’agenzia ha visto aumentare il proprio budget, il personale e le competenze. Attualmente, Frontex ha a disposizione droni, elicotteri e altre tecnologie avanzate per monitorare le aree di mare tra le coste nordafricane e il Sud Europa. Tuttavia, l’attività di controllo e monitoraggio delle rotte marittime si è estesa fino a sfiorare il limite della legalità in termini di rispetto dei diritti umani.

Frontex non ha mai avuto, almeno formalmente, il mandato di eseguire respingimenti, ovvero di ritrasferire migranti verso Paesi di origine o di transito che non offrono garanzie di sicurezza e protezione umanitaria. Ciononostante, attraverso un sistema di segnalazioni e cooperazioni con le guardie costiere di Paesi terzi, pare che l’agenzia abbia facilitato, in almeno 473 casi, i respingimenti verso Paesi come Libia e Tunisia, dove sono ben documentati i rischi per l’incolumità fisica e la dignità dei migranti. Questo genere di operazioni solleva interrogativi cruciali: è lecito, per un’agenzia europea, facilitare respingimenti verso Paesi in cui i diritti umani non sono garantiti? E quali sono le responsabilità legali e morali di Frontex in queste operazioni?

L’analisi di Liminal: una ricerca meticolosa sui respingimenti

Il progetto di ricerca Liminal, fondato con l’obiettivo di studiare e analizzare le politiche migratorie europee e le loro conseguenze, ha condotto uno studio approfondito che documenta le azioni di Frontex tra il 2019 e il 2023. La ricerca si basa su una serie di testimonianze, analisi di dati satellitari e rapporti di bordo, ed evidenzia come Frontex avrebbe facilitato il respingimento verso Libia e Tunisia di almeno 27.288 migranti. Secondo lo studio, questa pratica è stata resa possibile grazie a un sistema di sorveglianza in tempo reale che consente all’agenzia di individuare le imbarcazioni in difficoltà e di segnalare la loro posizione alle autorità marittime di Paesi come la Libia e la Tunisia.

La collaborazione tra Frontex e le guardie costiere nordafricane si è rivelata particolarmente controversa, poiché questi Paesi non sono ritenuti sicuri secondo gli standard europei di tutela dei diritti umani. La Libia, in particolare, è nota per le condizioni disumane dei suoi centri di detenzione per migranti, dove sono documentate numerose violazioni dei diritti, tra cui tortura, sfruttamento e abusi sessuali. Lo studio di Liminal, dunque, non si limita a descrivere il fenomeno, ma lo analizza sotto il profilo legale e morale, interrogandosi su quanto possa essere legittimo per un’agenzia europea favorire la cattura e la deportazione di migranti verso luoghi pericolosi e privi di protezioni umanitarie.

La politica europea sulla migrazione: un modello da ripensare?

L’Unione Europea, a fronte di una crescente pressione migratoria, ha scelto di adottare politiche di esternalizzazione del controllo delle frontiere, stringendo accordi con Paesi terzi per bloccare i flussi migratori. Questo approccio, basato sull’intercettazione dei migranti nelle fasi iniziali del loro viaggio verso l’Europa, è spesso giustificato dai governi europei come una necessità per gestire in modo ordinato l’immigrazione, ma viene fortemente criticato da attivisti e organizzazioni per i diritti umani. Le pratiche di respingimento verso Paesi come la Libia, che non garantiscono condizioni di sicurezza e rispetto dei diritti, mettono in discussione i principi su cui si fonda l’UE, compromettendone l’immagine e la coerenza morale.

Secondo alcuni esperti, sarebbe necessario un approccio più incentrato sulla protezione dei diritti dei migranti, piuttosto che sul loro controllo e respingimento. In particolare, molti ritengono che l’Europa dovrebbe promuovere canali migratori legali e sicuri, nonché politiche di accoglienza umanitaria, che permettano di rispondere ai bisogni di chi fugge da situazioni di conflitto e povertà estrema. Tuttavia, le politiche europee si orientano in senso contrario, privilegiando misure di sicurezza e collaborazione con regimi spesso autoritari, come quelli della Libia e della Tunisia, che hanno dimostrato di non garantire i diritti umani fondamentali.

Implicazioni legali e morali dei respingimenti

Il quadro normativo internazionale in tema di asilo e protezione dei rifugiati è chiaro: i respingimenti verso Paesi che non offrono garanzie di protezione umanitaria sono vietati dalla Convenzione di Ginevra e dalle normative europee. In particolare, il principio di non-refoulement, pilastro del diritto internazionale, vieta esplicitamente il rimpatrio forzato di persone verso Paesi dove la loro vita o la loro libertà potrebbero essere in pericolo. Ciononostante, il rapporto di Liminal sembra indicare che Frontex abbia sfruttato una sorta di zona grigia normativa, che le permetterebbe di agire indirettamente, segnalando le posizioni dei migranti alle autorità libiche e tunisine senza formalmente violare la legge.

Il coinvolgimento di Frontex in queste operazioni di segnalazione apre un dibattito sulla legittimità di tali pratiche. Da un lato, l’agenzia sostiene di operare nel pieno rispetto delle normative europee, limitandosi a fornire assistenza tecnica ai Paesi terzi. Dall’altro, molti esperti e organizzazioni umanitarie considerano questo approccio una forma di complicità nei respingimenti e, di conseguenza, una violazione indiretta dei diritti umani. Il caso di Frontex diviene quindi emblematico di un sistema che sembra piegare il diritto internazionale ai propri obiettivi politici, facendo leva su norme interpretabili o parzialmente applicabili.

La posizione di Frontex e le reazioni internazionali

Frontex ha difeso il proprio operato, sostenendo di agire in conformità con le direttive europee e nel rispetto dei diritti umani. Tuttavia, diverse organizzazioni, come Amnesty International e Human Rights Watch, hanno condannato le azioni dell’agenzia, ritenendo che la sua collaborazione con le autorità libiche e tunisine si traduca in una chiara violazione dei principi umanitari. Anche alcuni esponenti politici europei hanno sollevato preoccupazioni, chiedendo maggiore trasparenza nelle attività di Frontex e un’inchiesta indipendente sulle pratiche di respingimento.

Le tensioni tra i principi fondamentali dell’Unione Europea e le politiche attuate in materia di migrazione sembrano raggiungere il culmine proprio in casi come quello di Frontex. Se da un lato l’UE si propone come garante dei diritti umani e della democrazia, dall’altro le sue azioni sul campo, come dimostra il rapporto di Liminal, sollevano dubbi sull’effettiva coerenza tra valori proclamati e pratiche effettive.

Conclusioni

Quindi, non si tratta di supposizioni o accuse provenienti da ONG, ma è la stessa Frontex a riconoscere implicitamente nei suoi database di aver svolto tali operazioni. Questo dimostra che la sorveglianza aerea nel Mediterraneo, per la quale l’Agenzia ha investito oltre 500 milioni di euro tra il 2017 e il 2023, non mira a salvare vite in mare, ma piuttosto a impedire l’arrivo dei migranti in Europa.

Questa verità emerge dall’analisi di oltre 319.000 dati estratti dal database di Frontex, che documenta tutte le sue attività, inclusi i voli dei droni, come l’Heron, fornito da Israel Aerospace Industries e attualmente utilizzato dall’esercito israeliano nelle operazioni sulla Striscia di Gaza.

Patricia Iori

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