Fridays for Future: la rabbia che diventa energia rinnovabile

Fridays for Future: la rabbia che diventa energia rinnovabile

“PRONTƏ A TORNARE MAREA. Venerdì 3 marzo manifesta anche tu, sarà sciopero globale per il clima!” Questo l’appello del movimento Fridays for Future (FFF) per la mobilitazione indetta per il 3 marzo.

È proprio con le manifestazioni che nasce il movimento dei Fridays for Future, quando nel 2015 un gruppo di studenti e studentesse invitarono i propri coetanei di tutto il mondo ad unirsi al loro sciopero contro la COP-21, Conferenza sul clima che si sarebbe tenuta a Parigi il 30 novembre. Quel giorno parteciparono alla protesta giovani di più di 100 paesi, rivendicando un’unica pretesa: che i potenti iniziassero a trattare il problema seriamente e con l’urgenza necessaria.

Le richieste erano, e sono tuttora, energia pulita al 100% proveniente da fonti rinnovabili. Spaziano da proposte di una rivoluzione economica che parta dalla riconversione ecologica, alla promozione della ricerca. Tempo fa si mobilitarono anche per richiedere una nuova Politica Agricola Comune (PAC).

Fu nel 2018 che i FFF raggiunsero maggiore supporto, grazie anche all’appoggio di Greta Thunberg. Da lì gli scioperi crebbero sempre più, fino a raggiungere numeri enormi negli anni successivi.

I cortei hanno sempre toni pacifici e festosi, vi partecipano moltissimi giovani. Sono probabilmente tra le manifestazioni più sentite tra chi ancora frequenta il liceo. Anche la manifestazione di ieri è stato un grido di rabbia, ma gioioso. Gioioso perché partecipato, sentito e abbracciato da molte e molti.

Lo slogan era “LA NOSTRA RABBIA diventerà ENERGIA RINNOVABILE!” Ed era quella la sensazione che si respirava passeggiando in mezzo al corteo. La condizione di festa che permette di mescolare la rabbia e la felicità. Perché è quando si collettivizza che la felicità diventa sovversiva.

E la collettivizzazione passa anche da chi non partecipa in prima persona al corteo. Una passante mi chiede che manifestazione fosse. Noto la diffidenza nei suoi occhi. “Sono i Fridays for Future”, le spiego. “Ambientalisti”, aggiungo. È a questo punto che la signora si rilassa, mi sorride e mi augura buona giornata. Il fatto che la lotta e le rivendicazioni siano condivisibili mi pare chiaro. Mi sembra evidente anche quando noto una ragazza con un carrello. Sta lavorando come corriere. Decide comunque di fermarsi, per dedicare quel minuto di pausa a quella lotta. E canta, unendosi al coro dei circa 2000 manifestanti presenti.

All’altezza di via Merulana viene indetto un sit-in. O meglio, come viene chiamato, un die-in. C’è un grande silenzio. Ed è in quel momento che noto un dettaglio ridicolo. Dall’altra parte della strada alcune ragazze trasportano un pallone a forma di Terra. È ridicolo perché continua a sgonfiarsi. Sento un ragazzo alle mie spalle che dice “Il mondo si sta squagliando”. È ridicolo perché è vero. E chi stava lì non faceva altro che fare quello che facevano le ragazze con il pallone. Cercare comunque di rigonfiarlo. Di ridare un futuro a questa Terra, reale o metaforica che sia.

Non hanno altra scelta. Scioperare è l’unico modo che hanno per far sentire la propria voce. Perché l’azione collettiva è l’unica risposta possibile ad un problema che è collettivo.

Sicuramente la crisi climatica è un problema di giustizia sociale. Tuttavia, è forse l’unico problema che attraversa le fasce sociali e generazionali. Che toccherà tutti, chi prima chi dopo. Perché il cambiamento climatico non si ferma davanti al privilegio. Non guarda il colore della pelle o l’orientamento sessuale. Se gli scioperi rimarranno fini a sé stessi non riusciranno ad incidere realmente sulla società. Ma se non si inizia a lottare dal punto stesso in cui si parte, non si comincerà mai. Ogni cambiamento nasce dall’unione delle forze per smuovere la coscienza collettiva. E se questa è l’ultima generazione che può invertire la rotta, è necessario che le risposte dei potenti siano adatte alle richieste.

Claudia Chendi

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