Anche se non sono un medico, credo che la fretta possa essere considerata una malattia. Una malattia che ha contagiato, ancor prima del Coronavirus, larghissime fasce della popolazione, trasformandoci in zombie che non hanno più tempo per nulla.
Proprio adesso che ho da fare
Squilla il telefono?
Oddio, chi sa chi è, cosa vuole, proprio adesso che ho da fare, è la reazione pressoché immediata. Poi si sbircia l’odiato (ma inseparabile) smartphone e si decide se premere o meno il tasto verde per accettare la chiamata.
Qualcuno suona al campanello di casa?
Oh, no, io non aspettavo nessuno, proprio adesso che ho da fare. Anche se si tratta solo del postino, quel trillare del campanello viene avvertito come un dramma, una frattura alla scaletta che non vuole imprevisti del nostro vivere. E il proprio adesso che ho da fare una triste tiritera che ci recitiamo, ormai convinti della sua indiscussa verità.
Qualcosa è cambiato, almeno per un po’
Restare a casa, costretti da un virus che sta facendo il bello e il cattivo tempo con tutti noi, ha messo inevitabilmente in dubbio questo caposaldo del nostro vivere: la fretta.
Già: come si fa ad avere fretta se di deve restare a casa? Se non si devono più rincorrere freneticamente appuntamenti, scadenze di lavoro, figli da portare da una parte all’altra (e poi recuperare)?
Eravamo abituati a fare la spesa in stile Flash Gordon: parcheggio al volo, violentare il carrello con l’euro di caparra e poi via a riempirlo, lista alla mano o più spesso a casaccio. Infine la corsa verso la cassa, scegliendo la coda a nostro parere più veloce. E, di regola, ma in tutto rispetto di una delle leggi di Murphy, non indovinavamo mai quella giusta.
Il Coronavirus ci sta insegnando a non avere fretta
Non possiamo più entrare al supermercato quando caspita vogliamo. Il dover stare delle sane mezzore, o intere ore, ad attendere il nostro turno ci sta regalando occasioni a prezzo scontato che mai prima ci sognavamo. In coda si è iniziato a parlare – seppur mantenendo le distanze di sicurezza – con chi è in attesa insieme a noi. Persone di cui, prima, ignoravamo l’esistenza. Persone a cui ci capita di confidare le nostre perplessità e paure, come se le conoscessimo da sempre e fossero vecchi amici.
I video aperitivi e la vita in famiglia
Stanno impazzando, una vera e propria moda, i video aperitivi (o addirittura le cene) condivisi grazie a strumenti come Skype, Zoom e Whatsapp. Ci si vede, sempre a distanza, ma molto più di prima, anche con persone che non si frequentavano da tempo.
I miracoli dell’aver smesso di avere fretta.
In famiglia si è riscoperto il piacere di trascorrere del tempo insieme, magari rispolverando giochi in scatola, condividendo la visione di un film, oppure semplicemente riprendendo a parlarsi.
Ah, ma mio figlio ha letto qualcosa di Svevo?
Chi l’avrebbe detto che con mia madre si potesse discutere di cartoni animati giapponesi?
Queste le piccole-grandi scoperte ai tempi del Coronavirus.
Non per tutti la fretta è stata messa al bando
C’è anche chi è insofferente e continua ad avere fretta (di andare dove?) e vive questo periodo come una prigionia forzata.
In alcuni casi è assolutamente comprensibile. Penso alle tante persone costrette da sole, magari anziane o disabili, e tutti i problemi che ne conseguono, sia per ottenere la spesa a casa – non è affatto così facile e scontato – sia per l’inevitabile senso di solitudine che la loro situazione comporta.
Sì, ma loro non hanno fretta. Non l’avevano neppure prima.
La fretta è cosa che riguarda chi prima correva sempre, e ora non può più farlo.
Eppure basterebbe poco per capire che non ha senso agitarsi tanto, e che guardare le cose in maniera diversa non è affatto un limite, bensì un’opportunità.
Trilussa, al riguardo, aveva già detto tutto, con la sua immancabile ironia, nella poesia La fretta (recitata nel seguente video da Paolo Fiorini).
https://www.youtube.com/watch?v=JuGtG8VBF38
La fretta è una cattiva consigliera
Così recita un adagio popolare, e di queste antiche saggezze bisognerebbe sempre far tesoro. Ma i tesori, si sa, spettano solo a chi ha l’ardire di cercarli, di farli propri.
Sempre restando in tema di proverbi, ce n’è uno che consiglia di fare di necessità virtù, e francamente, mi sembra assai appropriato al nostro caso.
La necessità è quella che ci sta costringendo ad abbandonare la fretta, e fin qui tutto ovvio.
Ma la virtù?
La virtù, a mio parere, dovrebbe consistere nel non dimenticare quanto abbiamo imparato durante la lunga quarantena del Coronavirus. Imprimere a fuoco nella memoria il profumo dell’aria non più infestata dai gas di scarico delle auto. Il piacere di poter fare ogni cosa con calma, sapendo che nessuno ci corre dietro. E magari iniziare a concepire che qualche passo indietro rispetto ai nostri stili di vita è auspicabile, se non addirittura necessario.
Elogio della lentezza
Circa sei anni fa, il neuro-scienziato Lamberto Maffei pubblicò il saggio L’elogio della lentezza, che lessi all’epoca, anche se ricordo solo alcuni punti salienti. Soprattutto mi colpì, per restare in tema, la sua esplicita denuncia alla mercificazione della tecnologia che, anziché costituire una fonte di miglioramento per le nostre vite, rischia invece di affossarle. Tutto congiura, sul mercato, per farci acquistare l’ultimo modello di pc, smartphone, elettrodomestico. E ci mettono fretta, come se da quell’acquisto dipendesse tutto il nostro futuro.
Cosimo Piovasco di Rondò
Il protagonista del Barone rampante di Italo Calvino si ribella a un piatto di lumache che i genitori gli propinano e forza, e per protesta si arrampica su un albero.
Così tenace è il suo puntiglio, che da quel momento vivrà solo e unicamente tra gli alberi, senza mai più mettere piede a terra. In questa scelta estrema, Cosimo Piovasco di Rondò compie una sorta di rivoluzione copernicana. Perché tutto il mondo, visto dai rami degli alberi, cambia prospettiva, e diventa altro.
Costretto a non avere mai fretta, ma trovandosi nelle condizioni di dover reinventare se stesso e l’ambiente che lo circonda, ricordate cosa fa?
Si mette a leggere. Questo grazie al brigante Gian de Brughi – altro ribelle, quindi – a cui un giorno presta un romanzo e in breve diviene insaziabile di letture, costringendo Cosimo a leggere quanto lui.
Sulle prime Cosimo lo fa solo per toglierselo di torno, ma poi capisce, e anche lui diventa succube della gravissima malattia del leggere.
Leggendo, arriva a capire anche i problemi del mondo che lo circonda. Si fa altruista, capace di risolvere, pur non spostandosi dai suoi alberi. Da quel punto di vista nuovo, e per questo prezioso.
Il nostro futuro dipende da cosa scegliamo oggi
Una cosa, dopo oltre cinquant’anni che sto al mondo, sono convinta di averla capita: le scelte vere, determinanti, sono quelle che si prendono senza fretta. Quelle su cui si è stati a pensare, riflettere, mettendo in gioco noi stessi fino in fondo, discutendo e criticando anche quel che prima davamo per scontato. Magari arrampicandoci su un nostro albero.
E, per farlo, serve una ribellione, prendere posizione e quindi agire, a volte anche contro quel che ci farebbe più comodo.
In sintesi, è sì giusto non farsi dannare l’anima dalla fretta, ma anche che ciò non diventi una scusa per la non-azione. Concetto mirabilmente espresso da Goethe nella poesia Xenia domata 2: «Come raggiungere un traguardo? Senza fretta ma senza sosta».
Claudia Maschio