Ad inizio ottobre 1964, uno degli anni cardine della controcultura giovanile anni sessanta, gli studenti dell’Università di Berkeley in California si sono uniti in una protesta che sarebbe passata alla storia come Free Speech Movement.
Poco prima di cominciare il nuovo anno accademico, Mario Savio, maggior esponente del movimento, entrò a far parte del Freedom Summer Project, un’ organizzazione umanitaria del Mississippi nata per aiutare gli afro-americani ad ottenere il diritto di voto. Allora, era solo un giovane studente impegnato nell’attivismo per i diritti civili. Appena di ritorno alla vita del campus universitario, però, Savio apprende ben presto il divieto di praticare qualsiasi forma di attività politica. Un divieto con il quale l’università cancellava la libertà d’espressione e la libertà accademica dei propri studenti.
Il primo atto del Free Speech Movement
Per controllare che il divieto venga rispettato, la polizia è autorizzata a girare nel campus.
Il primo ottobre, un amico e collega universitario di Savio, Jack Weinberg, siede al tavolo del CORE, da cui condivide l’attività del gruppo politico che si batte per il diritto al voto delle persone nere negli stati segregati del sud. Al rifiuto di presentare i documenti, viene arrestato e fatto salire in una macchina della polizia.
Una folla di studenti accorre in difesa di Weinberg. Mentre Mario Savio decide di salire sul tetto dell’auto della polizia per tenere il discorso che segna l’atto d’introduzione del Free Speech Movement.
Mentre Weinberg è chiuso in auto e la polizia lo circonda, la trattativa per liberarlo dura trentadue ore. Alla fine, il rettore dell’università acconsente a lasciarlo andare.
Intanto, in piedi sul tetto della volante, Savio invita gli studenti a resistere, ad opporsi con il proprio corpo ai soprusi in nome della propria libertà di parola. Ribellarsi in modo non violento è l’unico modo per difendere dignitosamente i propri diritti.
La disobbedienza civile come atto di libertà
Quel discorso pronunciato coraggiosamente, a piedi scalzi sul tetto della volante delle forze dell’ordine, è stato solo il punto di partenza di un movimento che nei mesi successivi avrebbe continuato ad espandersi e a far sentire la propria voce.
Per me la libertà di parola è qualcosa che rappresenta la dignità stessa di ciò che è un essere umano… È la cosa che ci pone appena al di sotto degli angeli.
Mario Savio
Una voce arrivata sino ai giorni nostri, grazie all’eco provocato dalle contestazioni dell’anno simbolo della rivoluzione giovanile: il sessantotto. Un anno che non sarebbe mai potuto diventare tanto significativo senza le rivolte che l’hanno preceduto. E non sarebbe mai esistito senza la consapevolezza che ha animato i giovani del tempo, protagonisti indiscussi di una profonda ribellione culturale in difesa delle libertà individuali di ciascun essere umano. Una lotta che non smette di essere attuale. Perché anche oggi la parola è una libertà che può costare cara, talvolta cara quanto la vita stessa.
Mai come oggi la libertà di espressione viene pretesa, celebrata a gran voce, talvolta osannata o utilizzata come scudo per proteggersi dalle conseguenze delle proprie parole. Eppure, forse utilizzeremmo le parole con più cautela se ci ricordassimo più spesso che rappresentano un diritto conquistato grazie al coraggio di studenti che hanno deciso di ribellarsi, mettendo a rischio anche loro stessi.
Carola Varano