Lo strano, il diverso da sempre provocano negli uomini una serie di emozioni contrastanti, un misto tra timore e morbosa attrazione. Proprio cavalcando l’onda di questa strana miscela tra repulsione e curiosità, tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo, negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna divenne popolare una particolare tipologia di spettacolo: il Freak Show.
Chi tra voi ha visto “American Horror Story” (ed in particolare la quarta stagione, non a caso denominata “Freak Show“) sa di cosa stiamo parlando: si trattava di “esibizioni di rarità biologiche“, ovvero rappresentazioni nelle quali venivano portati in scena soggetti portatori di particolari malformazioni o malattie rare che conferivano loro un aspetto “strano”, o ancora persone che avevano modificato il loro aspetto in modo tale da apparire, per l’appunto, “freak“, cioè strane.
Così, nei Freak Show il pubblico vedeva esibirsi quelli che venivano definiti “fenomeni umani“: persone affette da nanismo, gigantismo, acromegalia (è ad esempio il caso del wrestler Maurice Tillet, cui la malattia conferì un’anomala crescita delle ossa del volto, ed alle cui sembianze è ispirato il protagonista del film d’animazione “Shrek“), focomelia (come Ruth Berry, il cui nome d’arte, “Mignon The Penguin Girl“, era ispirato ai suoi arti superiori fusi, simili a pinne, nonché alla sua andatura ondeggiante, che ricordava, appunto, quella di un pinguino), ectrodattilia (malattia genetica che rendeva le dita simili a chele, che fece guadagnare a Fred Wilson il soprannome di “ragazzo aragosta“).
E poi, ancora, si avvicendavano sul palco personaggi affetti dalle più disparate malformazioni: Joseph Merrick, che presentava una testa di dimensioni anomale, talmente grande da ucciderlo, all’età di ventisette anni, per il peso eccessivo, che gli causò la rottura del collo; Ella Harper, che aveva una deformazione alle ginocchia che la costringeva a camminare avvalendosi anche delle braccia; Eli Bowen, acrobata nato coi piedi attaccati al busto; Alice Elizabeth Doherty, il cui volto era completamente ricoperto di peli.
Non mancavano, poi, persone al cui corpo erano attaccati arti o parti di loro gemelli: è il caso di Myrtle Corbin, che aveva un gemello sviluppato solo per la parte inferiore del corpo, di cui era in grado di controllare le gambe.
Spesso i Freak Show venivano svolti da compagnie circensi itineranti, delle quali potevano costituire i “side show” (vale a dire, gli spettacoli secondari, ad accompagnamento di quello principale), ma non solo: talvolta veniva portato sul palco il cosiddetto “Ten-in-one“, vale a dire un programma di dieci numeri tra numeri magici, acrobatici ed esibizioni di “freaks“; in altri casi si inscenava il “museo“, una sorta di carrellata di stranezze, tra cui animali imbalsamati; altre volte, ancora, lo spettacolo veniva unicamente dedicato al “Single-O“, in cui al pubblico veniva presentata una sola attrazione.
Peraltro, questa tipologia di esibizioni non costituisce una prerogativa statunitense dell’epoca: dato il carattere atavico di questa particolare attrazione per la “stranezza”, si registrano diversi esempi di spettacoli di questo tipo per tutto il corso della storia– pensiamo alle “Wunderkammer” (letteralmente “Camere delle meraviglie“), in cui, tra Cinquecento e Settecento, dove era possibile rinvenire “mirabilia”- ovvero cose straordinarie- sia naturali che di creazione artificiale, tra cui talvolta anche arti o neonati deformi ed animali esotici o particolari; le esposizioni etnologiche- anche dette “zoo umani“- in voga tra XIX e XX secolo, in cui venivano mostrati esseri umani appartenenti a società considerate primitive.
Il picco fu però raggiunto dai Freak Show, che del resto hanno dato vita a numerose trasposizioni cinematografiche– da “Freaks“, nel lontano 1932, a “Freakshow“, nel 2007-, oltre ad un omonimo fumetto Marvel, canzoni ed album musicali e ben due serie televisive.
Nonostante la sensibilità sociale sia oggi certamente meno propensa a guardare con favore a questo tipo di esibizioni (che cominciarono ad essere sempre meno accolte a partire dagli anni ’40 e ’50), è innegabile che non siano finite nel dimenticatoio: pensiamo al “Jim Rose Circus“, attivo fino al 2013, portato in scena da “made freaks” (così definiti per distinguerli dai “born freaks“, ovvero coloro la cui stranezza deriva da malattie o malformazioni he li accompagnano dalla nascita) che si esibiscono in numeri di vario tipo, atti ad evidenziare le loro particolarità esteriori (ad esempio, l’eccezionale numero di piercing o tatuaggi) oppure le straordinarie abilità sviluppate. Perché, in fondo, il concetto di “freak” ha perso la sua connotazione negativa di strambo, per acquisire invece il significato di quella che, probabilmente, è la massima ambizione in una società massificata come la nostra: l’unicità.
Un altro aspetto, però, risulta pressante con riguardo ai Freak Show: quello etico. Si trattava- o si tratta- di un fenomeno aberrante?
La risposta non è sempre così scontata. Se per alcuni essere “freak“, specie nel passato, ha determinato una condanna ad una vita di sfruttamento– è il caso, per citarne uno, di Julia Pastrana, donna messicana affetta da due malattie che la rendevano, nell’aspetto molto simile ad un primate, usata per il suo aspetto prima dal suo agente e poi dal marito, nonché manager-, per altri fu un metodo per arrivare finalmente ad accettare le loro particolarità. Celebre è il caso di Frank Lentini, originario del siracusano e trasferitosi da bambino negli USA; egli, dopo essere stato bollato come mostro ed abbandonato dai suoi genitori (fu, infatti, cresciuto dai suoi zii), a seguito di una breve permanenza in un istituto (dove conobbe bambini portatori di ogni tipo di handicap) iniziò finalmente ad apprezzare il proprio corpo, e decise di iniziare ad esibirsi, prima in “side shows” e successivamente in uno spettacolo tutto suo.
Molti dei “freaks“, d’altronde, asserivano che la reciproca compagnia nei Freak show era un fattore che permetteva loro di sentirsi “normali” ed all’interno di una vera e propria famiglia; quanto alle esibizioni, queste erano per parecchi un modo di vedere finalmente accettate socialmente quelle caratteristiche che fino a quel momento li avevano resi- non solo agli occhi degli altri, ma soprattutto ai loro- dei mostri.
La questione sembra rimanere aperta. Quale che sia la risposta, sicuramente resta la certezza che, per considerarci una società davvero evoluta, non dovremmo avere bisogno di Freak Show per accettare le differenze.
Lidia Fontanella