Che la scienza proceda per ipotesi, che devono essere verificate mediante numerosi esperimenti, è oramai un dato di fatto; nessuno scienziato si sognerebbe di proclamare la sua nuova scoperta, senza averla prima verificata empiricamente. Eppure, non è sempre stato così. Il metodo scientifico è stato infatti introdotto, a cavallo tra Cinque e Seicento, da Galileo Galilei, ma ha comunque impiegato molto tempo ad affermarsi fuori dalla Toscana, anche a causa della condanna ecclesiastica che gravava su Galilei e sulle sue opere.
Tra le credenze più singolari che sopravvivevano ancora nel XVII secolo, vi era quella della generazione spontanea: si sosteneva che alcuni animali – e particolarmente alcuni insetti – potessero nascere in modo spontaneo dagli elementi naturali inanimati. Uno dei principali sostenitori di questa teoria fu il gesuita tedesco Athanasius Kircher, storico e filosofo, che aveva tentato di calcolare la superficie esatta che l’Arca di Noè avrebbe dovuto avere per contenere tutte le coppie di animali necessarie per ripopolare la Terra dopo il diluvio. Tuttavia, avendo ottenuto un risultato eccessivamente grande, aveva concluso che gran parte degli animali poteva riprodursi per generazione spontanea e non era stato dunque necessario caricarli sull’Arca. Pertanto, nelle sue opere, dava fantasiose spiegazioni su come avvenisse tale generazione. Si diceva, ad esempio (ed era credenza diffusa già da diversi secoli), che le mosche nascevano direttamente dalla carne imputridita; oppure, veniva spiegato come “seminare” le serpi.
Idee che a noi possono suscitare un sorriso, ma che nel XVII secolo potevano anche essere prese sul serio. A smentirle ci pensò Francesco Redi, scienziato e poeta alla corte dei Medici, che, applicando il metodo galileiano, dimostrò la falsità di queste teorie. Provò a seminare le serpi, tagliandole in pezzi e annaffiandole con il latte, come suggerito da Kircher, ma, ovviamente, non ottenne alcun risultato. Tentò poi con le mosche, sistemando vari pezzi di carne in contenitori diversi, alcuni sigillati e alcuni aperti, e osservò come le larve si trovassero solo su quelli lasciati aperti, proprio perché le mosche stesse vi avevano lasciato le loro uova.
Ma Redi non si limitò a smentire la teoria della generazione spontanea. I suoi interessi erano molto vari: era un medico di grande fama, un poeta di una certa importanza ed era anche un naturalista. Si dedicò, infatti, anche allo studio delle vipere e in particolare al loro veleno. Redi, non sapendo quale parte della vipera fosse realmente velenosa, provò a nutrire alcuni cani e gatti con la carne di tale rettile; poi, notando che le cavie sopravvivevano senza problemi, provò a dare loro da bere il veleno della vipera sciolto in acqua. Attraverso questi esperimenti, Redi capì che il veleno della vipera era sì pericoloso, ma soltanto se entrava in contatto con il sangue. Per dimostrare la validità della sua teoria, Redi ne dette pubblica prova, sciogliendo il veleno della vipera nel vino e dandolo da bere ad un titubante signore che era stato scelto come cavia umana e che, per sua fortuna, non aveva ferite aperte nello stomaco.
Anche con questi esempi particolari, si intuisce quanto sia stato fondamentale e innovativo l’apporto del metodo galileiano per la scienza moderna. Teorie che ai nostri occhi appaiono ovvie o, d’altra parte, assurde, sono divenute tali grazie all’applicazione di questo metodo, ideato da Galileo e in seguito coltivato dai suoi seguaci.
Erica Nocentini