“Sotto questo sole è bello pedalare si, ma c’è da sudare!”
Così cantava Francesco Baccini nel celebre brano che lo portò al successo, nel 1990, assieme ai Ladri di Biciclette di Paolo Belli.
Forse i più giovani non ricorderanno questo musicista genovese che, dal Piano Bar è arrivato al Palco di Sanremo, diventando uno dei cantautori più apprezzati della scena italiana della prima metà degli anni ’90.
Quel palco dei fiori che gli ha dato la fama, ha anche ingabbiato Francesco Baccini e molti altri musicisti tendenzialmente meno conformi alle sfumature del mercato, tanto che oggi è lo stesso Baccini a voler dire velare la sua verità.
Riepilogando una serie di post su Facebook, Francesco Baccini ha apertamente criticato il Festival di Sanremo e in generale, l’intero sistema musicale contemporaneo in Italia.
Si sa che il Festival della Canzone italiana, che da stasera alimenterà il dibattito collettivo, è da sempre una preda ambita di appassionati e detrattori, specie sulla correttezza della manifestazione; ma solo pochi anni fa sarebbe stato difficile intravedere una contesa “ideologica” tra il festival, i contest e i talent show.
A distanza di 22 anni dalla sua ultima partecipazione, Francesco Baccini spiega la sua polemica social, durante un’intervista rilasciata all’agenzia AGI.
“Sono trent’anni che mi esprimo in maniera non equivocabile, non è una novità, precisa Francesco Baccini. Faccio il cantautore perché sono cresciuto con le canzoni di uno che si chiama Guccini, uno che si chiama De André, che rappresentavano quelli che erano contro un certo modo di vedere il mondo”.
L’accusa lanciata da Francesco Baccini riguarda proprio la presunta irregolarità sui meccanismi che determinano la selezione degli artisti e il relativo vincitore. Quello che si evince nei commenti di Baccini è l’ipotesi di un possibile “effetto scandalo” che contaminerebbe l’aurea del Festival nazional-popolare, per antonomasia, della canzone italiana, fin dai tempi non sospetti; salvo poi evolversi nelle nuove e più veloci forme di comunicazione del nostro tempo.
“Ne parlava Luigi Tenco ai suoi tempi, afferma Baccini, che aveva scoperto che c’erano tutta una serie di combine, ma l’Italia è quella roba lì fin dal primo minuto della Repubblica Italiana”.
L’accusa di Francesco Baccini trae in realtà lo spunto di Sanremo per rivolgersi direttamente al modello culturale italiano; il retaggio di una mentalità capace di travalicare il sistema, per passare sopra tutto e tutti, a favore del proprio tornaconto personale.
Francesco Baccini è un musicista incompreso o solo arrabbiato?
Da qui si comprende che la rabbia di Francesco Baccini trascende la riflessione professionale e artistica, per scendere, in modo anche banale, all’attacco di una società che lo ha “tradito” o “abbandonato”; diciamo che sembra che voglia cogliere l’occasione per togliersi qualche sasso dalle scarpe.
L’analisi in questo caso deve valere da ambo le parti e, in questo caso sarebbe auspicabile pensare che il musicista Baccini abbia avuto il tempo e l’occasione per confrontarsi con se stesso; con la ricerca di quel consenso da varietà in cui si è sempre sentito un po’ stretto, ma soprattutto con la propria creatività personale.
La critica di Francesco Baccini infatti si allarga su più fronti.
Dal conflitto d’interessi delle Radio, discriminatorie verso la maggior parte dei generi, egli passa al potere delle case discografiche, fino ai soliti talent show, per affondare il coltello nella “cosiddetta musica Indie”:
“Cosa c’è di ‘Indie’, indipendente? Indie è un marchio, una griffe. La musica indie non dovrebbe nemmeno andarci a Sanremo. Negli anni ’70, quelli che erano indie, che poi erano i cantautori, erano contro il sistema di Sanremo. Se noi avessimo visto De Gregori a Sanremo, De Gregori avrebbe smesso di cantare, perché avrebbe perso qualsiasi credibilità. Nessun cantautore doveva andare in televisione, anzi non andavano in televisione ma riempivano gli stadi”.
Nel suo peregrinare tra “caproni e rosiconi” del sistema, Francesco Baccini coglie, da professionista, le molte lacune di un sistema e di una realtà musicale che non ha una direzione chiara. Il problema è che, trovare sempre il pretesto di citare De Andrè e Guccini, come sempiterni modelli di luce e correttezza, rispetto alla miseria vigente, non aiuta a stimolare nuove energie, né a rinnovare una classe sociale; come dovrebbe essere quella musicale, alla costante ricerca di una strada personale, ma anche di una visibilità che non sia più temporanea o virale, ma semplicemente definita.
Negli anni della digitalizzazione e della musica di consumo, ci stiamo rendendo sempre più conto che è l’idea personale, prima o poi spunterà fuori da qualche cassetto della storia e diventerà eterna; la viralità fugace di un fenomeno rimane fenomenica e quindi non necessariamente eterna.
Francesco Baccini ha scritto Le donne di Modena: chi non la conosce, vada a riascoltarla per capire il valore di un pensiero che non ha bisogno di essere “di consumo” per essere valorizzato.
Fausto Bisantis