Chi è Francesca Woodman? La risposta è semplice: una delle fotografe più talentuose di tutti i tempi.
Nata a Denver nel 1958, è morta a New York nel 1981.
Figlia di un pittore e di una ceramista, si appassiona ben presto all’arte in tutte le sue forme, complici i numerosi soggiorni in Italia. Sin da piccola, infatti, viaggia per il bel paese, soprattutto in Toscana e a Roma, dove si stabilisce temporaneamente a 19 anni.
Queste sono le coordinate principali che ci vengono fornite per rispondere alla domanda iniziale. Ma chi era davvero?
Se c’è un modo per rispondere, implica sicuramente un distacco dalle notizie biografiche che abbiamo a disposizione per spostare l’attenzione sul suo lavoro. Molti critici hanno cercato una lettura psicologica della sua opera; è un atteggiamento molto comune, soprattutto quando l’artista sceglie di togliersi la vita. Io credo che sia più interessante cercare di capire la ricerca artistica di Francesca Woodman, a prescindere da quelle che sono state le sue scelte personali.
Osservando le sue fotografie, straordinariamente dotate di un tratto identitario, ci si accorge subito che il filo conduttore è una questione che l’artista sembra porsi: “Chi sono io, e quale è il mio spazio?”.
Questa domanda sembra essere al centro della sua attenzione, nella misura in cui l’”io” e la sua collocazione all’interno dello spazio diventano oggetto di uno studio meticoloso, persino geometrico. Un percorso interiore che si traduce in scelta estetica attraverso un preciso iter creativo, con punto di partenza il disegno dei bozzetti e capolinea il controllo del campo visivo, e dell’esposizione, lunga oppure doppia.
Date le premesse, è piuttosto prevedibile che il soggetto delle fotografie sia quasi sempre il suo corpo, velato, svelato, mostrato nella sua interezza oppure “tagliato” in frammenti.
Il corpo femminile è sempre stato modello e oggetto di opere d’arte, ma negli anni in cui lavora Francesca Woodman si ha un cambiamento di rotta: se prima era visto come un oggetto, nelle opere femministe passa dall’essere involucro vuoto al divenire atto politico.
Il mostrarsi fisicamente diviene uno strumento per affermare la propria posizione, fisica e non solo, nel mondo.
Alcuni critici hanno etichettato l’opera della Woodman come opera femminista: credo piuttosto che i suoi scatti raccontino un viaggio alla ricerca del proprio “io”, il tentativo di trovare la propria voce e affermarla, un processo che necessariamente passa anche dalla sessualità, senza però rimanere relegata esclusivamente a quella sfera.
C’è molto di più. C’è una ricerca di autenticità, dietro alla nudità.
Ma la Woodman, infatti, non si limita ad esibire il proprio corpo: cerca di trovargli una collocazione, a volte relegandolo, rinchiudendolo nello spazio limitato e delimitato dal formato della fotografia; altre volte, lo lascia libero di fluire, come sospeso. E come ci riesce? Semplicemente camuffandolo.
Molte foto, infatti, sono frammentarie, mostrano solo una parte del tutto, oppure il soggetto è sfocato, suggerendo una smaterializzazione della figura.
È come se, nel momento in cui sta per rivelarsi, l’identità del soggetto si negasse. Questo diviene percepibile soprattutto quando il tentativo di fusione con lo spazio, dove il mimetizzarsi corrisponde ad una necessità di uniformarsi con il mondo, non si concretizza: in tal caso, il corpo reagisce cercando di allontanarsene, provando, in un interessante ossimoro, a relegarvisi e sfuggirgli al contempo, in un conflitto costante.
La fotografia della Woodman regala un effetto potentissimo di fluidità, indeterminatezza, mutevolezza, transitorietà. Una transitorietà che ci ricorda lo scorrere della vita.
La ricerca della propria identità e del proprio spazio, però, si traduce anche in un gioco di specchi, che funzionano da rimandi squisitamente estetici. E’ una tensione verso la libertà di espressione di se stessa contraddistinta da dinamismo e incredibile forza plastica.
Woodman usa il proprio corpo come cassa di risonanza per un discorso privato che unisce il realismo della tradizionale fotografia americana alla dimensione
psicologica del surrealismo.Isabella Pedicini
Anche negli anni ’80 l’azienda propose nuovi modelli, cercando di rinnovare costantemente la propria proposta commerciale.
E chi osserva le fotografie di Francesca Woodman rimane come sospeso, in una sorta di nebbia esistenziale, sospeso come l’artista in un’atmosfera fantasmagorica, a metà tra il sogno, la memoria e la chiaroveggenza. Che altro non è, se non l’esplorazione del più profondo sentire umano.
Sofia Dora Chilleri