Fragilità bianca: il libro simbolo delle proteste antirazziste americane, del #Blacklivesmatter, è arrivato in Italia l’8 ottobre. Abbiamo molto da imparare…
Fragilità bianca
Perché è tanto difficile parlare ai bianchi di razzismo?
È la domanda che pone Robin DiAngelo (1956), autrice di Fragilità Bianca (Chiarelettere, traduzione di Elena Cantoni). Professoressa specializzata in Whiteness Studies all’Università di Seattle, Robin DiAngelo ha lavorato per oltre 20 anni come consulente ed educatrice alla diversità nelle istituzioni e nelle aziende, portando alla luce le problematiche più concrete di discriminazione razziale all’interno di quei sistemi.
Proprio da questa esperienza nasce l’idea di scrivere questo saggio, bestseller negli USA. Un testo fondamentale per comprendere i meccanismi del sistema profondamente razzista in cui siamo immersi.
Capitolo dopo capitolo, attraverso illuminanti esempi emersi dai suoi colloqui o dall’attualità, l’autrice smaschera l’ipocrisia, la reticenza, i radicati comportamenti culturali, storici, istituzionali con cui i bianchi perpetuano abusi e privilegio.
DiAngelo dedica il suo libro a tutti quei “progressisti bianchi”, antirazzisti, che sentono di fare la cosa giusta ripudiando i governi e le loro azioni violente contro i neri, oppure dimostrando varie forme di solidarietà di facciata.
Fragilità bianca: parlare ai bianchi di razzismo
Per molti bianchi sarà difficile accettare persino il titolo di questo libro – scrive – perché nel formularlo l’autrice ha generalizzato, violando una regola fondamentale dell’individualismo occidentale.
Mettere da parte il proprio senso di unicità è cruciale per avere una visione complessiva della società in cui viviamo.
Oiza Q. Obasuyi, su Internazionale, afferma che, anche in Italia, il razzismo riguarda molte più persone di quanto si pensi.
“Il razzismo è approvato e perpetuato anche dai meno sospettabili, un razzismo inconsapevole e bonario diffuso tra le persone comuni e accettato perfino da chi pensa di non avere stereotipi o pregiudizi”.
Tuttavia, il più vago accenno all’ipotesi che essere bianchi comporti dei vantaggi scatena in noi un incredibile concatenarsi di reazioni difensive: rabbia, indignazione, paura e senso di colpa, ma anche comportamenti o atteggiamenti polemici, silenzio e fuga dalla situazione che ci ha provocato stress.
Lacrime bianche.
Reazioni come queste respingono il dibattito, ci restituiscono al nostro quieto vivere e preservano la nostra supremazia all’interno della gerarchia.
È proprio questo processo che Robin DiAngelo descrive come fragilità bianca, e che da’ il titolo al suo saggio. A innescarlo sono il disagio e l’ansia, ma trae origine dal senso di superiorità e legittimazione.
Attenzione: non è una vera debolezza. Bensì un potente strumento di controllo razziale e di difesa del privilegio.
Il nostro compito è imparare, sempre
Il razzismo è un sistema in cui siamo e si è stati educati.
Il compito che ci spetta è quello di investire energia nell’impegno continuo verso l’autoconsapevolezza, verso un’educazione permanente volta alla costruzione di rapporti interraziali e autentiche azioni antirazziste. Al contrario, il nostro “progressismo” mantiene e perpetua il razzismo perché, asserragliati dietro la nostra falsa certezza, ci precludiamo di comprendere la verità. E con “progressista” l’autrice intende un bianco che non si giudica razzista, che si crede illuminato e avanti.
Tanto più siamo certi di avere già capito, tanto meno investiremo energia in ciò che davvero ci spetterebbe.
Come scrive Ta-Nehisi Coates (2018) “la razza è figlia del razzismo, non la madre”.
La razza è un’idea sociale in costante evoluzione, che è stata creata per legittimare la disuguaglianza e tutelare il privilegio dei bianchi.
Infatti, il termine bianco apparve per la prima volta nel XVII secolo, nelle leggi coloniali.
Una donna bianca, una visione del mondo bianca
Robin DiAngelo è una donna bianca, cresciuta negli Stati Uniti. Ha uno schema di riferimento bianco, una visione del mondo bianca e vive secondo una prospettiva bianca.
La “bianchezza” si regge su una premessa fondamentale: l’individuo bianco è la norma, il modello dell’essere umano; la persona di colore è una deviazione da quella norma.
Falso. La nostra è una falsa identità, fondata sull’illusione di superiorità: “si può essere bianchi solo se un altro non lo è”.
La nostra non è un’esperienza umana universale. È l’esperienza di una persona bianca in una società in cui la razza conta moltissimo. Una società che a causa della razza è profondamente divisa e ingiusta.
Non ci è stato insegnato a vedere noi stessi in termini razziali, a comportarci come se il fatto di essere bianchi avesse una qualche importanza. Il discorso sulla razza ha sempre riguardato gli altri: loro hanno un’identità razziale, perciò l’argomento dev’essere la loro razza, non la nostra.
La razza è un tabù: sin da piccoli impariamo a fingere di non notare gli aspetti “indesiderabili”, che riducono il valore di alcuni individui rispetto ad altri. Primo fra tutti il colore della pelle: se fingiamo di non vedere la razza, il razzismo sparirà da solo (daltonismo razziale).
Ancora una volta, falso. Il non parlare di razza è uno dei modi con cui i bianchi preservano lo squilibrio di potere razziale.
Allora tollerare il disagio di essere considerati in termini razziali, diventa fondamentale. Comportarci come se la nostra razza contasse perché, di fatto, conta.
Ma è proprio qui che si innesca la fragilità bianca: il rifiuto di sapere. Il vero problema è la disinformazione in cui siamo immersi, e che rende iniqui i nostri trattamenti differenziati.
Così ci è stato insegnato…
Ci è stato insegnato che assumere una prospettiva razziale equivale a essere prevenuti. In realtà, è proprio questa convinzione che perpetua i nostri pregiudizi: negare di averli garantisce che tali pregiudizi non verranno mai discussi o rettificati.
Robin DiAngelo ci pone dinnanzi ad una verità sconcertante: tutti gli esseri umani hanno pregiudizi, è inevitabile. E il pregiudizio si manifesta sempre nell’azione, perché la mia visione del mondo orienta il mio comportamento al suo interno.
Le dinamiche del razzismo permeano ogni aspetto della società.
Ma cosa significa davvero razzismo? È il pregiudizio collettivo di un gruppo avvallato dall’autorità legale e dal controllo istituzionale.
Il razzismo è un sistema. Un sistema storico, profondamente stabile. Non è fluido e non cambia direzione solo perché qualche individuo di colore riesce ad eccellere. Ogni atto razzista non è un fenomeno isolato.
Concentrarsi sui singoli episodi impedisce di effettuare una disamina personale, interpersonale, culturale, storica e strutturale necessaria a smantellare il sistema.
Alla radice di quasi tutte le reazioni autoassolutorie dei bianchi nei riguardi del fenomeno troviamo l’idea, superficiale, che riduce il razzismo ai soli comportamenti intenzionali commessi da individui malvagi. Lo schema buono/cattivo è una falsa dicotomia: occulta la natura strutturale del razzismo, ci impedisce di vederla e comprenderla. Soltanto andando al di là di questo luogo comune potremo superare lo scoglio dell’autoindulgenza.
Fragilità bianca: sovvertire lo status quo
I privilegi dello status di bianco restano punti fermi, e determinano la nostra realtà quotidiana. Pertanto, è responsabilità di tutti noi che passiamo per bianchi riconoscere in che modo questi vantaggi ci hanno plasmato e non negarne l’esistenza.
Per combattere questa fragilità dobbiamo interrogarci su tutte le nostre identità, in particolare su quella razziale. Che per noi bianchi significa, in primo luogo, scendere a patti con il fatto di essere bianchi. Il bianco, infatti, è una categoria d’identità soprattutto efficace quando se ne nega l’esistenza.
Il razzismo è la norma. Pertanto, dobbiamo parlare di razzismo, se vogliamo contestarlo. Il nostro silenzio non è innocente, perché lascia intatti i pregiudizi, preserva e protegge la gerarchia sociale e il mio posto a suo interno.
Con Fragilità bianca, di Robin DiAngelo, abbiamo l’opportunità di imparare e di rimediare, qui ed ora.
Giulia Chiapperini