Nella seconda metà dell’Ottocento, nella piazzetta di San Bartolomeo, sull’isola Tiberina della Capitale, non era raro vedere una grande coda di popolani, che attendevano all’aperto il loro turno, spesso avvolgendo la mascella dolente in un fazzoletto. Lì aveva sede lo studio dentistico di Fra Orsenigo, il dentista dei poveri. Una bottega più che uno studio; un piccolo spazio dopo il frate aveva lo stretto necessario per operare, la strada come sala d’attesa. Fra Orsenigo, comasco, figlio di fornai, era conosciuto come il cacciadenti auffa, perché non prendeva denaro per curare i suoi pazienti. In cambio, chiedeva di poter conservare il dente estratto. Un piccolo cimelio, forse l’unico residuo di vanità di una vita dedicata interamente alla cura del prossimo, dopo aver abbracciato la fede. Il frate accettava donazioni, che conservava per realizzare il suo grande sogno, sempre al servizio degli altri: costruire un grande ospedale a Nettuno.
La tecnica di Fra Orsenigo
Il frate non era noto solo perché non riceveva compensi per le sue prestazioni. Uno dei suoi grandi talenti era quello di riuscire ad estrarre, spesso e volentieri, il dente a mani nude. Accolto il paziente con cordialità, cominciava ad ispezionarne la parte dolente, riuscendo repentinamente ad estrarre il dente. Fra Orsenigo avevo capito che il paziente, non vedendo tenaglie o altre arnesi, conservava una muscolatura più rilassata, che facilitava il compito. Consideriamo che si trattava di un’epoca nella quale l’anestesia era poco utilizzata. Quando invece era necessario ricorrere a qualche utensile, il frate lo nascondeva dietro le proprie spalle, usandolo in maniera rapida tale da ridurre al minimo il dolore al momento dell’estrazione.
Non solo poveri
La fama di Fra Orsenigo fu tale da attirare sull’isola Tiberina anche personaggi noti, come la regina Margherita di Savoia, Carducci, Giolitti e Crispi. Ma il più grande onore, e forse allo stesso tempo la più grande delusione per Fra Orsenigo, fu estrarre il dente di Papa Leone XIII, il quale non volle lasciarglielo in pegno. Quasi a tracciare un varco invalicabile, tra chi ha rappresentato il Cristo nei palazzi del potere e chi lo ha fatto tra i poveri. Il Pontefice si fece perdonare lasciando una cospicua donazione, con la quale Fra Orsenigo portò a termine la costruzione dell’ospedale a Nettuno. Fu proprio qui che il frate morì nel 1904. Fino ad un anno prima, aveva continuato a lavorare per i suoi poveri. Nel suo gabinetto dismesso furono rinvenuti 3 bauli, contenenti 2.000.774, denti, gettati nel Tevere, frutto di 35 anni di professione al servizio del prossimo.
Antonio Scaramozza