La European Union Agency for Fundamental Rights (FRA) ha pubblicato il nuovo rapporto sulla discriminazione legata all’identità di genere e all’orientamento sessuale. È stato sottoposto un questionario a circa 100.000 persone con un’età dai 15 anni in su in 30 Stati (27 sono Stati membri dell’UE; in aggiunta hanno partecipato persone provenienti da Albania, Serbia e Macedonia del Nord). Dall’edizione del 2019 dello stesso sondaggio, alcuni dati sono peggiorati. L’odio e la discriminazione verso il prossimo sono ancora ben radicati nella società causando emarginazione e disagio.
L’odio non è un problema risolto: alcuni numeri che lo dimostrano
Il dato più importante che lo fa dedurre è il seguente: la metà dei partecipanti al sondaggio condotto dalla FRA ha risposto di aver avuto a che fare con almeno un episodio di molestia nell’ultimo anno.
Parlare di identità di genere e di orientamento sessuale sembra sempre più difficile. Essere sé stessi è complicato persino a scuola: i partecipanti al sondaggio hanno sostenuto di aver avuto difficoltà a parlare di sé stessi in classe per paura di subire violenza e bullismo. Il 60-70% dei partecipanti ha risposto di aver subito atti di bullismo per il proprio orientamento sessuale (rispetto al 2019, il dato è aumentato del 20% circa). In certi casi l’odio è tanto opprimente da far pensare di porre la parola fine alla propria esistenza: circa il 37% dei partecipanti al sondaggio ha affermato di aver pensato al suicidio più o meno frequentemente nell’ultimo anno.
Sembra che ci sia ancora una diffusa ritrosia nel trattare come tali le offese motivate da odio per orientamenti sessuali o identità di genere considerati da chi oltraggia come “immorali” o “fuori dal normale”: il 18% dei partecipanti al sondaggio, che ha affermato di aver subito molestie e violenze, non riesce a trovare la forza per denunciare tali ingiustizie perché ritiene che le forze dell’ordine siano estremamente inefficienti.
L’inutile paralisi verso atti di odio: l’Italia non si è mossa dal ddl Zan
D’altronde in Italia tale inefficienza è legittimata dal vuoto legislativo mai colmato dopo lo storico affossamento del ddl Zan. Il disegno di legge proponeva di aggiungere in alcuni articoli del codice penale e in altri provvedimenti delle parole che avrebbero specificato la motivazione di odio per un’identità di genere o orientamento sessuale come aggravante per tutti quei reati commessi con intenti discriminatori. All’inizio del Governo Meloni, Amnesty International evidenziò lo scarso rispetto dei diritti dei membri della comunità LGBTQIA+, ma ad oggi pochi sono stati i passi avanti. Dopo quella tristemente memorabile esultanza da stadio in Senato in seguito alla bocciatura del disegno di legge, il dibattito sul tema non si è più riaperto.
Che cosa significa questo? L’Italia ha ancora da lavorare sul rispetto del prossimo ancora prima della messa per iscritto di certe ovvietà. Probabilmente una fetta di italiani non ha ancora ben chiara la potenza delle parole, il fatto che esse possano fare più male delle percosse, e che soprattutto l’uguaglianza davanti alla legge dovrebbe includere il trattare come offensive anche parole come “frocio” e “finocchio”. Forse sono ancora considerate come degli insulti di poco conto, come delle cose dette alla leggera.
Pochi diritti in Italia: Amnesty International chiede maggiori tutele per la comunità LGBTQIA+
Ad un anno di Governo Meloni, la comunità LGBTQIA+ è ancora scarsamente tutelata, come riporta il dossier di Amnesty International che elenca i progressi fatti in seguito alle richieste del manifesto “Sui diritti umani chiediamo passi avanti”. L’unica grande ma ormai vecchia conquista è l’unione civile, che tuttavia non comporta l’ottenimento degli stessi diritti di un matrimonio tra uomo e donna.
La battaglia per il diritto all’adozione di un figlio è ancora aperta, e la vittoria è ben lontana: sembra che per mostrare di poter garantire una crescita dignitosa ad un bambino non basti avere una casa ed una certa stabilità economica. Ancora serve dimostrare di essere una coppia sposata formata biologicamente da un uomo e da una donna. Nel caso in cui il bambino non trovi la famiglia del mulino bianco, può stare per anni in strutture provvisorie sperando in un futuro migliore.
Amnesty International evidenzia anche la necessità di riconoscere la carriera alias nelle scuole. Essa consiste nel sostituire il nome di una persona transgender con quello di sua scelta negli atti interni della scuola qualora lo desideri. Una tale tutela renderebbe le scuole dei luoghi molto più sicuri ed inclusivi, ma i piani alti dell’istruzione non la pensano allo stesso modo: le scuole lombarde favorevoli a tale pratica sono state esortate a “correggere la svista”.
La libertà individuale non è ancora garantita per tutti
I passi da fare per una vera inclusione sono ancora tanti. La comunità LGBTQIA+ è ancora in una tempesta di odio ingiustificato. Si tratta dell’odio verso chi vuole essere sé stesso anche in pubblico.
In fin dei conti capire chi si è o per chi si prova amore sono ragionamenti che tutti prima o poi devono compiere, ma proprio perché riguardano la propria intimità, sono riflessioni da fare col proprio io. Perciò non possono essere motivo di disagio per il prossimo né possono essere contestate, anche perché avere le idee chiare sul proprio orientamento sessuale e sulla propria identità di genere non ha alcuna influenza sulle interazioni con altri individui né ha delle conseguenze sulla libertà altrui.
Anzi, la discussione su questi temi (trattati come se fossero problemi) mette dei paletti alla libertà personale ed emargina dalla società delle persone la cui unica “colpa” è quella di desiderare di essere sé stesse in pubblico senza temere commenti e gesti spiacevoli.