La fotosintesi artificiale è in giro da un po’ e di tentativi di renderla una fonte di energia competitiva se ne stanno facendo parecchi, lo scorso maggio avevamo dato notizia di un dispositivo realizzato da ricercatori dell’università dal Michigan in grado di ricavare idrogeno con questo metodo. La ricerca di cui vado a scrivere oggi rappresenta, a detta dei ricercatori, un sostanziale passo avanti rispetto a quelle precedenti, i ricercatori del St John’s College dell’Università di Cambridge in realtà hanno utilizzato un metodo che rientra nel nuovo campo della fotosintesi semi-artificiale che mira a sostituire i catalizzatori artificiali spesso costosi e/o tossici con enzimi in grado di innescare le reazioni desiderate. Lo studio è stato documentato con un articolo uscito su Nature Energy.
La fotosintesi artificiale è un modo per produrre idrogeno copiando ciò che fanno le piante, che prendono la molecola d’acqua e la scindono grazie all’energia solare rilasciando l’ossigeno come elemento di scarto (per nostra fortuna) e utilizzano l’idrogeno come fonte di energia, ma la fotosintesi naturale, spiega Katarzyna Sokół autrice della ricerca, non è efficiente quanto potrebbe, si è evoluta per fornire alle piante solo l’energia di cui hanno bisogno, addirittura solo l’1 o 2% di quanto potrebbe potenzialmente convertire ed immagazzinare.
La chiave della ricerca degli scienziati di Cambridge è stata quella di riattivare un processo nelle alghe che era dormiente da millenni. L’idrogenasi è un enzima che favorisce l’assunzione di idrogeno da parte di un substrato biologico e all’interno dei complessi processi chimici c’è anche quello della riduzione di protoni in nuclei di idrogeno, il processo era stato abbandonato dall’evoluzione perché non era essenziale alla sopravvivenza, la Sokół e colleghi sono riusciti a riattivarlo.
Proprio in questo la ricerca sarebbe rivoluzionaria, aver dimostrato che gli scienziati possono (ri)attivare i processi voluti e ottenere reazioni con componenti organici non raggiungibili in natura, il loro metodo potrebbe essere una piattaforma su cui molti altri potrebbero sperimentare per scoprire cosa si può fare e poi costruire pezzi di tecnologia solare innovativa.
Fonte immagine: www.joh.cam.ac.uk
Roberto Todini