La foto shock del ragazzo bendato in caserma, uno degli autori del brutale omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega, potrebbe ostacolare la giustizia.
La foto shock del ragazzo bendato in caserma scuote l’inchiesta e complica le indagini. La benda, l’atto del fotografare, la diffusione delle immagini sono state fermamente condannate dai vertici dell’Arma. Questo non per far felici i “benpensanti”, ma perché è un atto vergognoso per uno stato di diritto. Un atto che offende l’arma dei carabinieri, la dignità umana, la giustizia, le regole processuali e le fondamenta dello stato di diritto. Il carabiniere autore del bendaggio, infatti, è stato già trasferito e la procura attende per aprire un’indagine. Sia la benda sugli occhi, che potrebbe rientrare nella definizione di tortura (articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo), una definizione che non è tipica, ma aperta (art. 613 bis). Sia la diffusione dell’immagine, degradante per un essere umano, saranno certamente un boomerang processuale che complicherà l’ottenimento di una pena esemplare. Sicuramente un’azione di crudeltà insensata, soprattutto da parte dei rappresentanti dello stato. La nozione di crudeltà è definita come quella condotta che si traduce in comportamenti degradanti, posti in essere al sol fine di assoggettare la vittima alla propria volontà, senza alcuno scopo ulteriore.
L’episodio potrebbe facilmente essere interpretato come una tecnica di disorientamento o privazione sensoriale, che andrebbe a compromettere la giustizia per Mario Cerciello Rega.
L’art. 188 c.p.p. “libertà morale della persona nell’assunzione della prova”, sancisce l’espresso divieto di utilizzazione di metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti.
La libertà morale trattata dall’articolo, garantita ad ogni persona nell’assunzione della prova, ergo pure all’imputato che sia un mostro, un alieno o un animale, protegge l’assunzione delle prove. Non è un articolo volto a garantire l’imputato, ma volto a garantire la giustizia. Si sviluppa in due elementi specifici:
- libertà di autodeterminazione: vietando l’impiego di metodi e tecniche che la compromettano.
- Capacità mnemoniche e valutative: vietando il ricorso a metodi idonei ad alterarli.
L’uccisione del carabiniere, in genere ogni atto contro l’arma, contro quella divisa e contro ogni colore dello stato, va perseguito e condannato.
Tuttavia, quella stessa divisa è posta a garanzia dello stato di diritto e della sua ragion d’essere. La forte presa di posizione dei vertici dell’arma verso l’atto, verso lo scatto della foto e verso la sua diffusione si erge a difesa dell’arma e dei suoi componenti. Cosa che non è stata fatta da alcuni esponenti politici, che difendendo il fatto hanno gettato altro fango su quella divisa.
L’azione, lo scatto della foto e la sua diffusione, ed è bene sottolineare le tre azioni distinte, sono un boomerang processuale che potrebbero facilmente compromettere l’utilizzazione delle dichiarazioni rese. E potrebbero anche portare a uno scontro con il paese d’origine degli indiziati e a una richiesta di estradizione. Probabilmente potrà far ottenere un risarcimento danni per tortura e diffamazione. Oltre ad un’altra azione per incitamento all’odio e alla violenza, contro quei politici che hanno utilizzato la foto per aizzare l’odio.
La ferma condanna dell’atto, della fotografia e della sua diffusione, non si pone a difesa dell’imputato.
È una difesa allo Stato Italiano, allo Stato di Diritto, agli uomini e donne che indossano la divisa, alla storia e alla giustizia.
Leandro Grasso