Il portavoce di Forza Italia Raffaele Nevi ha spiegato che l’obiettivo principale di FI è la riduzione delle tasse al ceto medio, il segmento di popolazione che, secondo il punto di vista ufficiale del partito, è quello che maggiormente sente il peso delle imposte, e che secondo il punto di vista ufficioso, è quello che rappresenta un attraente bacino di voti.
Che l’intenzione derivi dall’ideologia o dal calcolo, il punto è un altro: non è stato specificato uno straccio di misura fiscale credibile, cioè attuabile, per l’abbassamento dell’Irpef. Nevi si è limitato a spiegare che se le risorse derivanti dal “concordato fiscale” sono sufficienti, il taglio sarà consistente; se invece le risorse saranno più limitate, la riduzione avverrà in misura più contenuta. Se questo non dice nulla sulla misura fiscale, dice però tanto sulle qualità che occorrono a un buon portavoce: fra queste c’è anche un pizzico d’ignoranza, quella che, impedendogli di approfondire l’analisi di tanti particolari, gli consente di piegarla ai propri comodi.
Le risorse indisponibili per abbassare le tasse
Nevi ha poi fatto appello ai 430 milioni di euro risparmiati dal canone Rai, risorse che, secondo lui, potrebbero essere riutilizzate proprio per una riduzione dell’Irpef o, in alternativa, per un aumento delle pensioni minime. Ma dopo il rapido momento di entusiasmo, lo stesso portavoce ha anche riconosciuto la necessità di un approccio prudente.
Il riferimento alle dichiarazioni del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, è stato esplicito: la necessità di essere cauti nell’utilizzo delle risorse pubbliche è fondamentale, specialmente in un periodo di incertezze economiche legate all’inflazione e a una crescita economica in forte dubbio.
Secondo Nevi, quindi, il taglio delle tasse potrebbe realizzarsi, ma allo stesso tempo è irrealizzabile. L’economia è materia difficile, si sa, ma la coerenza logica, almeno alle persone mediamente intelligenti, dovrebbe riuscire un po’ più semplice. L’importante, ha poi continuato a spiegare l’Adam Smith di Forza Italia, è che qualsiasi intervento vada nella direzione di alleviare il carico fiscale sui cittadini. Come, però, non è dato sapersi.
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È ancora il partito di B.?
La posizione di Forza Italia sulla riduzione delle tasse continua ad essere quella che è sempre stata: di pura retorica. L’ex partito del cavaliere continua a ignorare che non è possibile strumentalizzare l’economia. Il calcolo della spesa segue logiche diverse dal calcolo elettorale. La matematica non è un’opinione. Non lo sono nemmeno i deboli conti pubblici che, già fiacchi, dovrebbero essere rimpinguati anziché ulteriormente tagliati.
Di aumentare le tasse non se ne può parlare – pena non superare nemmeno la soglia di sbarramento – ma va già bene cominciarle a pagare. Dall’evasione si recupererebbero i miliardi da investire nella scuola pubblica, nella sanità pubblica, nei servizi pubblici. Ma, sia al singolare che al plurale, negli ambienti di Forza Italia la parola “pubblico” suona come una bestemmia. A bestemmiare in chiesa si passa per eretici, a pronunciare “pubblico” nelle sezioni FI si finisce anche peggio: si può essere tacciati di comunismo.
Gira e rigira, l’ex partito di Previti, Dell’Utri e Berlusconi è rimasto il partito di Previti, Dell’Utri e Berlusconi. Anche se ora a guidarlo c’è Tajani, che da ministro degli Esteri tenta di dare alla forza politica una parvenza di democraticità-cristiana, di centrismo, di moderazione, ogni tanto la tentazione alla boutade elettorale emerge da un passato che sembrava morto, ma che evidentemente non è stato mai sepolto. La strada che porta al centro fa gola – lì c’è una bella fetta di elettori – ma il partito manca di uomini che ne indichino la rotta. Per un motivo molto semplice: De Gasperi andava in chiesa per parlare con Dio, Andreotti per parlare col prete, Tajani ci va per chiedere consiglio a B.
Vincenzo Ciervo