La notizia è oramai sulla bocca di tutti: il mondo di Fortnite è stato inghiottito da un buco nero.
Questo evento completamente inatteso dai videogiocatori ha generato un’ondata di panico all’interno della comunità di Fortnite.
I giocatori, che in quel momento stavano giocando, hanno visto dapprima atterrare una pioggia di razzi sul terreno di gioco e, poco dopo, nella stessa area, giungere un enorme meteorite il cui impatto con il mondo di Fortnite ha generato il buco nero, aspiratore di tutto, tranne che dei giocatori rimasti sospesi per aria.
A seguito di ciò, migliaia di giocatori hanno voluto collegarsi a canali streaming Twitch per assistere in diretta l’evolversi del buco nero, comparso al termine di un evento chiamato, non a caso, “The End”, in cui ci si aspettava giungesse la fine della decima stagione, in maniera molto semplice. Nessuno, insomma, si sarebbe aspettato una catastrofe del genere.
Dopo lo spauracchio, il mondo di Fortnite è tornato operativo.
Ma l’immagine del buco nero che come un imbuto ha risucchiato quasi tutto in un’altra dimensione, è ancora scolpita nell’immaginario collettivo di quei giocatori rimasti inerti a guardare passivamente la fine del loro mondo.
Non c’è nemmeno il dubbio. È lapalissiano che si sia trattato di una trovata commerciale da parte del team di Epic Games, casa di produzione di Fortnite.
Marketing, lo chiamano. Già in passato quelli di Epic Games avevano chiuso una stagione, che dura solitamente dieci settimane, con qualcosa di inedito e inaspettato. Tra la settima e l’ottava, ad esempio, si erano aperte delle falle nel terreno, era arrivato un terremoto ed era comparso un vulcano. Ma erano eventi che non interrompevano particolarmente il gioco quanto un buco nero che attirà a sé tutta l’isola di Fortnite.
Forse, la casa di produzione di Fortnite ha preso due piccioni con una fava.
Pochi giorni prima della comparsa del buco nero, Epic Games aveva fatto trapelare l’intenzione di rendere il gioco più accogliente e inclusivo per i neofiti, spesso sopraffatti senza possibilità di rivincita dai giocatori più esperti. Da una parte, risistemava l’ambiente e le dinamiche di gioco secondo le nuove esigenze, dall’altra creava un fenomeno mediatico destinato ad accrescere la già tracotante popolarità di Fortnite.
A rifletterci meglio c’è un’altra cosa che ci insegna l’espediente del buco nero di Fortnite.
La paura della fine, che si traduce in questo mondo digitale dettato dall’immaterialità nella perdita del senso della fine.
Gli ultimi anni sono stati scanditi nell’ambiente cinematografico e videoludico (ma, in una certa qual misura anche il mondo editoriale ha la sua macchia di colpa) da sequel, prequel, reboot, remake e chi più ne ha più ne metta.
Oggi, con l’effetto storieonnivoro esercitato dalle serie tv, il box office è saturo di film che sono, in realtà, il seguito, il prequel o il remake di vecchi film. Pensiamo alla saga degli Avengers, degli eroi Marvel o di Star Wars. Ma anche solo al ritorno, non necessario e mai richiesto, di una nuova stagione della Casa di Carta.
In fondo però, la paura della fine si cela anche dentro di noi. Cos’è la paura della morte se non una paura della fine? Quando perdiamo qualcuno qualcosa a noi caro non ci interroghiamo proprio sulla fine di quell’affetto, e non cerchiamo in essa un nuovo modo per nascere?
Questa nostra teleofobia (dal greco telos fine, scopo ultimo) si traduce a volte in un terrore della fine. Quando questo accade significa che abbiamo perso il controllo sulle nostre paure recondite, fino ad allora rinchiuse nelle cantine più segrete dell’inconscio. Rare volte però questo succede.
Normalmente, ciò che si è perso nel corso degli anni è la capacità di estrapolare un senso ultimo alla storia, di subire il fascino della storia autoconclusiva e, infine, di saper riflettere sopra le storie. Perché le storie non sono solo intrattenimento nell’intervallo di tempo tra un impegno e un altro. Sono soprattutto squarci del possibile, frammenti di vita che possono generare emozioni, riflessioni e insegnamenti. A chi, però ha intenzione di coglierli nella loro essenza. Con i drammi e le commedie che questa vita continuamente crea.
Axel Sintoni