Forte aumento dell’odio, ONU avverte: pericolo “disumanizzante”

Forte aumento dell'odio

Guardandocisi attorno, sia online che offline, lo si vede chiaramente: l’odio, l’ostilità e la disumanizzazione sono in aumento.
E adesso, anche l’ONU lancia l’allarme

I forti contrasti e dissidi che il mondo sta attraversando si ripercuotono anche sull’uomo, diffondendo rabbia, insicurezza e terrore.

Alla base ci sono discorsi di discriminazione e odio, immagini condivise con il solo scopo di spaventare, di far arrabbiare, di nutrire il rancore.
La politica, allo stesso modo, nutre la propaganda con retorica incendiaria e tossica, linguaggio disumanizzante e vizioso, ottenendo come unico risultato quello di mettere paura e provocare reazioni forti.

E se i cittadini sono tesi, impauriti e scossi da forti emozioni, allora il risultato può essere drammatico. E gli ultimi fatti di cronaca e ne sono la testimonianza.
Per questo, è intervenuto Volker Türk, capo ONU per i diritti umani.

Forte aumento dell’odio: gravi antisemitismo e islamofobia

Nel suo discorso tenuto a Ginevra, Volker Türk si è detto “disgustato” dal forte aumento di odio, registrato in particolare dopo gli eventi del 7 ottobre.

L’impatto di questa crisi è stato drammatico, a livello regionale e globale.
Ha provocato onde d’urto in ogni regione, disumanizzando sia i palestinesi che gli ebrei. Abbiamo assistito a un forte aumento dell’incitamento all’odio, della violenza e della discriminazione, all’aggravarsi delle fratture sociali e della polarizzazione, insieme alla negazione dei diritti alla libertà di espressione e di riunione pacifica

Preoccupante sembra essere soprattutto la nuova ondata di antisemitismo.
Solo un giorno fa, a Lione, una 30enne ebrea è stata pugnalata in casa da uno sconosciuto. Dopo l’aggressione, l’uomo ha inciso una svastica sulla porta.
Pochi giorni prima, a Parigi e Vienna sono comparse stelle di David sulle pareti di case e negozi con proprietari ebrei.
In Germania, sono state lanciate delle molotov in una sinagoga. In Austria è stato profanato un cimitero ebraico, mentre in Spagna negozi e luoghi di culto sono stati assaliti.
A Roma, in un quartiere abitato perlopiù da ebrei, è stata esposta una bandiera palestinese. Poco dopo, una stella di David è comparsa poco lontano, abbinata alla foto di un bambino rapito da Hamas.
Nella capitale, inoltre, sono state vandalizzate due pietre d’inciampo dedicate a deportati ebrei.

Ma anche l’islamofobia è un fenomeno in rapida crescita in tutta Europa.
Un paio di settimane fa, l’attivista italo-palestinese Karem Rohana è stato assalito e picchiato da alcuni uomini che lo attendevano all’uscita dell’aeroporto, mentre tornava da Gerusalemme.
Il mese scorso, in Illinois, un bambino e la madre – entrambi con doppia cittadinanza palestinese e statunitense – sono stati aggrediti da uno sconosciuto. La madre si è salvata, ma il bambino, di soli sei anni, ha perso la vita.
Negli USA, in seguito a numerose proteste delle comunità islamiche, il presidente Biden ha persino proposto una legge anti-islamofobia. Nel Regno Unito, invece, solo a Londra, i reati islamofobici sono aumentati del 140% rispetto all’anno scorso.

Questi gesti violenti, come spiega il capo ONU dei diritti umani, sono la conseguenza di parole altrettanto violente. Parole provenienti anche dalle sfere politiche.



Le parole malvagie sono state accompagnate da azioni vili. Atti senza dubbio incoraggiati dal linguaggio disumanizzante e vizioso che si trova non solo nelle nostre strade, ma anche nei leader politici

“La legge deve guidarci”: Türk rimprovera gli Stati

Molti degli atti violenti avvenuti in questi giorni sono stati incoraggiati, secondo Türk, dai discorsi degli stessi leader politici. Per questo, ha voluto evidenziare che, secondo il diritto internazionale, “è vietato qualsiasi incitamento all’odio“.
Inoltre, facendo riferimento alle varie marcie di protesta che si sono tenute nel mondo, l’Alto Commissario ha voluto lanciare un appello.

Dal 7 ottobre, centinaia di migliaia di persone hanno esercitato i loro diritti, si sono tenute marce e raduni a sostegno sia di Israele che della Palestina. Alcuni Paesi hanno imposto restrizioni ad ampio raggio, spesso riferendosi ai rischi per la sicurezza nazionale, compresi i rischi legati all’incitamento all’odio e alla glorificazione del terrorismo.

Mentre le tensioni e le emozioni sono alte, è la legge che deve guidarci nella protezione dei diritti umani

Durante molte di queste proteste, infatti, come evidenzia Türk, le restrizioni sono state “generalizzate o sproporzionate“, soprattutto nel contesto delle proteste pro-palestina.
A Parigi, per esempio, i cortei erano stati vietati in quanto “possono lasciar pensare ad un sostegno ad Hamas“. A Roma, i manifestanti hanno denunciato atti di “censura preventiva da parte di polizia e Digos, che li avrebbe fermati e perquisiti per diverse ore.
Alla luce di questi episodi, Türk ha voluto ricordare che il Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR) impone restrizioni che siano coerenti.

Gli Stati devono garantire uno spazio sicuro e favorevole per la partecipazione e il dibattito. Non possono limitare indebitamente la partecipazione e il dibattito o i commenti critici sul conflitto, o le espressioni di solidarietà con gli israeliani o i palestinesi.

Qualsiasi restrizione al diritto di riunione pacifica deve essere basata sulla legge, ove specificamente necessaria e proporzionata agli interessi della sicurezza nazionale o della sicurezza pubblica, dell’ordine pubblico, della protezione della salute o della morale pubblica o della protezione dei diritti e delle libertà altrui

Forte aumento dell’odio: cosa spiega la psicologia

Ma come può crearsi, nell’uomo, questo forte aumento dell’odio? E in che modo possiamo cercare di combatterlo?
La dottoressa Ahona Guha, psicologa clinica e forense di Melbourne, ha osservato con cura le dinamiche del conflitto sulla psiche della gente.
E, grazie alla psicologia cognitiva, ha potuto illustrare il modo in cui convinzioni e atteggiamenti – spesso alimentati da discorsi retorici e tendenziosi – si sedimentino nell’uomo, rendendolo più incline alla violenza.

Tutti noi portiamo pregiudizi cognitivi ed euristiche, usiamo l’autoinganno per mantenere la nostra visione del mondo e di noi stessi e usiamo difese psicologiche per gestire qualsiasi inquietudine – come la negazione (“Questo non è genocidio, è solo autodifesa”), la proiezione (“Sto bene, loro sono odiosi e arrabbiati”), la repressione (“Non riesco a pensarci”), la scissione (“Io sono buono, loro sono cattivi”), la disumanizzazione (“Se non sono del tutto umani, poi ucciderli non ha molta importanza” o “Meritano di essere uccisi perché si sono insediati su una terra che non era la loro”), e la razionalizzazione (per cui spieghiamo i comportamenti dannosi con una serie di “fatti” revisionisti)

Ma la rabbia, nella psicologia, è sempre un’emozione secondaria. Ossia, alimentata da altre emozioni. Sotto questa, spesso, si nascondono tristezza e senso di solitudine.
Una tristezza e una solitudine alimentate dalla mancanza di un dibattito sano, sostituito da discorsi polarizzanti ed esclusione di tutte le voci dissonanti che rischiano di rendere il discorso più complesso.

C’è un’immensa tristezza ma non c’è spazio per riconoscere la complessità di questa emozione, tanto meno la complessità di questo conflitto geopolitico. Mentre predominano le voci più arrabbiate, le voci moderate e gli appelli alla pace tacciono, sepolti sotto tsunami di rabbia.
Forse dire qualcosa che va contro la posizione prevalente all’interno della propria comunità sembra troppo spaventoso e corre il rischio di isolamento e ostracismo. Forse sembra che non ci siano risposte. Forse sembra senza speranza. Forse ci sentiamo del tutto impotenti.

E allora quale può essere la soluzione a questo ciclo di tristezza e rabbia?
Secondo la dottoressa Guha, pensare di cessare la violenza è impossibile. Ma è importante agire su stessi, per ristabilire un po’ di serenità.
Per esempio, è importante filtrare con attenzione il linguaggio, gestendo con cautela le proprie emozioni, ma anche creando spazi d’incontro e discussione.
Inoltre, gli appelli alla pace e alla giustizia non devono essere silenziati, anche quando le accuse di antisemitismo e/o islamofobia vengono usate per mettere a tacere voci giuste e forti.

Giulia Calvani

 

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