Era il 2010. L’anno delle elezioni regionali in Lombardia. L’anno della vicenda delle firme false, 926 per l’esattezza. A tanto ammontavano le firme presentate a sostegno delle liste del Pdl, 618 per la lista regionale “Per la Lombardia” e 308 per la lista provinciale del “Popolo della Libertà – Berlusconi per Formigoni”. Il giudice ha confermato la falsità di tutte le firme ad eccezione di una decina, confermando entrambe le liste come nulle.
Per lo scandalo fu rinviato a giudizio, tra gli altri, anche Guido Podestà, all’epoca coordinatore regionale Pdl. Tirato in mezzo da Clotilde Strada, responsabile del partito per la raccolta delle firme, secondo cui una volta accertata la mancanza di tempo per raccogliere le sottoscrizioni necessarie a presentare le liste, Podestà avrebbe loro detto di utilizzare i certificati elettorali. Per lui sarebbe poi arrivata l’assoluzione, dopo una prima condanna a 2 anni e 9 mesi, per non avere commesso il fatto.
Eppure Formigoni, entrando nel merito, amava definirsi “cristallino, trasparente”, ripugnando ogni forma di modestia. Non pago, il Celeste Roberto rilasciò nel marzo 2010 alcune dichiarazioni alla stampa davvero pesanti contro il partito dei radicali. In base a quanto riportato dai media, gli esponenti lombardi del partito fondato da Marco Pannella furono ritenuti responsabili della manipolazione delle firme, con lo scopo di boicottare la partecipazione del centrodestra alle regionali.
L’ex governatore della Lombardia, del resto, non è mai stato tanto sobrio nei suoi colloqui con i “giornalisti sfigati”, come amava definirli. Avrebbe potuto limitarsi a quei due aggettivi – trasparente e cristallino – e concludere con la frase di rito sulla fiducia nella magistratura, e invece no. Intervistato dal Giornale (5 marzo 2010), Formigoni dice: “oggi ho la dimostrazione che c’è stata una macchinazione di più soggetti per escludere in maniera fraudolenta, cioè con comportamenti illegittimi, il centrodestra dalla competizione lombarda. Lo abbiamo dimostrato in maniera inoppugnabile: hanno più volte violato la legge ai nostri danni e in maniera molto grave”. E ancora: “ai radicali sono state consegnate le nostre liste e hanno potuto manipolarle, correggerle, spostare documenti come volevano, perché non c’era nessuno di noi a controllarli. L’ufficio centrale gli ha dato accesso alle nostre liste e al nostro listino, sono rimasti soli per 12 ore, con penne e borse. Potevano fare quello che volevano!”. Insomma, dalle pagine dei giornali Formigoni cannoneggiava senza tregua, giungendo a definire i radicali “corifei dell’illegalità”. E la conseguenza ovvia non poteva che essere la querela per diffamazione, presentata dall’avvocato Giuseppe Rossodivita per conto di Marco Pannella, Marco Cappato e Lorenzo Lipparini.
La condanna della V Corte d’Appello di Milano, stavolta, pesa sul collo del Celeste in maniera esecutiva. Roberto Formigoni, a fine ottobre, si è visto confermare in secondo grado la sanzione penale di 900 euro e il pagamento di una cifra, dapprima fissata a 110 mila euro poi scontata di 35mila euro, a Cappato, Lipparini e alla lista Marco Pannella. Ai primi due andranno 20 mila euro ciascuno, mentre alla lista altri 35 mila euro. “Speriamo – ha commentato Cappato sulle pagine del Corriere – che Formigoni non ci costringa anche in questo caso a ricorrere ai pignoramenti e, una buona volta, chieda scusa non tanto ai radicali che non ne hanno bisogno ma a tutti i cittadini”.
Mala tempora currunt, per il senatore Ncd, che in attesa dei prossimi appuntamenti del 15 e 22 dicembre per l’altra “spina nel fianco” riguardante la Fondazione Maugeri, sogna un centrodestra “Le Pen free” assieme ad Angelino Alfano.
Alessandra Maria